Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 25 Giugno 2023 – don Walter Magni

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IV DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Anno A – Rito Ambrosiano – 25 Giugno 2023

L’alleanza di Dio è con la stirpe del giusto

Luca 17,26-30. 33 In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 26«Come avvenne  nei giorni di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell’uomo: 27mangiavano, bevevano, prendevano  moglie, prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e venne il diluvio e li fece morire  tutti. 28Come avvenne anche nei giorni di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano,  piantavano, costruivano; 29ma, nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma, piovve fuoco e zolfo dal cielo  e li fece morire tutti. 30Così accadrà nel giorno in cui il Figlio dell’uomo si manifesterà. 33Chi  cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi la perderà, la manterrà viva.». 

Fratelli, sorelle, 

dopo i giorni della creazione, si avviano i giorni della storia: i giorni di Noè, i giorni di Lot. Nei quali, come dice il vangelo odierno (IV domenica dopo Pentecoste, 25 giugno 2023), gli uomini  “mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano”. Ma nei confronti di  questo stile di vita, ordinario e ripetitivo, il libro della Genesi nota che “il Signore si pentì di aver  fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo”. Cos’era capitato? 

Tutto è ovvio 

Dove sbagliavano gli uomini e le donne di quel tempo, tanto da indurre il Signore a pentirsi d’averli  creati? Per sé non facevano nulla di male: mangiavano, bevevano, prendevano moglie o marito!  Eppure degli uomini e delle donne del tempo di Noè si dice che “venne il diluvio e li fece morire  tutti”; mentre su coloro che vivevano nei giorni di Lot cominciò a piovere “fuoco e zolfo dal cielo”  e morirono tutti. Perché ripetere delle buone abitudini per vivere e altro è vivere i propri giorni nella  spensieratezza. Dove tutto quello che accade è scontato e tutto quello che ti viene incontro è appunto  ovvio (ob-vius).

Accettato senza un criterio, un giudizio, un po’ di discernimento. Perché non è tanto  il mangiare, o il prendere moglie o marito, o il comprare o vendere, piantare o costruire come  espressioni normali di vivere a fare problema, ma la perdita di un orizzonte di senso nel compiere  tutte queste azioni. Potremmo anche dire: non mangiare per vivere, ma vivere per mangiare.  Trasformando un mezzo, uno strumento utile per vivere, nel fine, nello scopo della vita.

Un uomo,  senza vocazione, che non risponde e solo brama, vivendo alla giornata, nell’attimo fuggente, secondo la logica vuota del carpe diem. Vivere come se Dio non esistesse, replicando la tristezza dello stolto  del salmo che “pensa: ‘Dio non c’è’. Sono corrotti, fanno cose abominevoli: non c’è chi agisca bene.  Il Signore dal cielo si china sui figli dell’uomo per vedere se c’è un uomo saggio, uno che cerchi Dio.  Sono tutti traviati, tutti corrotti; non c’è chi agisca bene, neppure uno” (13,1-4)

Entrare nell’arca; uscire da Sodoma 

Gesù, riferendoSi a Noè e a Lot, usa due verbi che potrebbero portarci oltre una ovvietà triste a una  accidia che inesorabilmente intacca gli uomini, inacidendo il gusto di buone relazioni, il senso alto di  una speranza, il gusto, il sapore stesso della vita. Di Noè si dice che “entrò nell’arca” prima che tutti  gli uomini annegassero e di Lot, che “uscì da Sòdoma”, prima che un fuoco dal cielo bruciasse tutti  gli abitanti di Sodoma. Entrare e uscire dicono due movimenti dei quali dobbiamo prendere maggiore  consapevolezza.

Una più precisa consapevolezza, ad esempio, a riguardo dei luoghi nei quali eravamo  abituati a entrare senza farci troppe domande per celebrare i santi misteri, sia a uscire, dopo averli  celebrati, carichi solo di qualche emozione e qualche buona intenzione. C’eravamo abituati a stare  nella Chiesa come fosse un’arca nella quale sentirci riparati e protetti. Pronti a sfornare il nostro credo  e le nostre convinzioni con l’immediatezza di una risposta pronta e preconfezionata. Persino a  partecipare all’Eucaristia come fosse il gesto più scontato.

Eppure proprio il virus invisibile  dell’ovvietà, di una scontatezza spacciata per evidenza, ci ha ormai confusi. Ricordate quella  percezione di vuoto che non sapevamo colmare nei giorni della pandemia, quando neppure a Pasqua  potevamo varcare la soglia di una chiesa? Cosa abbiamo imparato da quello scombussolamento? A  tornare a come avevamo sempre fatto o a cercare un senso nuovo e più profondo nelle cose di sempre?  Che sia anche questo il senso di una “chiesa in uscita” come ci ha spesso ripetuto papa Francesco?  

Nostalgia del Vangelo 

Lo scrittore russo A. Siniavskij (1925-1997) affermava che “non è questione di legare la vita al  Vangelo. La vita è già, di per sé, sempre coniugata al Vangelo. Vivi, tiri a campare e all’improvviso  senti sottopelle la nostalgia del testo evangelico, come di un tuo tessuto, di cellule costitutive di cui  avverti la mancanza”.

Ecco la questione di fondo: tornare a sentire la nostalgia del Vangelo. La forza  dirompente di una rilettura della propria vita alla quale non si resta attaccati solo in quanto si dà,  perché allora semplicemente si cerca di trattenerla o la si prolunga senza ragione. Una vita alla quale  piuttosto si appartiene perché il suo senso ultimo, il suo senso più vero, consiste nel regalarla ancora,  a piene mani. Donandola senza misura come ha fatto Gesù, dopo avercelo insegnato. Gesù, dopo aver  ragionato dei giorni tristi di Noè e di Lot, ancora oggi ci ripete la Sua conclusione, quella nella quale  ha creduto Lui per primo, fino a morire: “chi cercherà di salvare la propria vita, la perderà; ma chi  la perderà, la manterrà viva”. Fratelli, sorelle, questo è il compito, questa è la missione: mantenere  viva la vita.

La vita così come Lui ce l’ha donata, così come Lui l’ha vissuta e l’ha spesa per amore  nostro. Perché “Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la vita per i propri amici” (Gv  15,13). Se si tiene alta la vita, la si tiene viva. Amando, amando senza risparmiarsi. Facendo di ogni  attimo un trampolino per buttarsi in avanti nel dono. Lasciando esplodere il Vangelo che come un  fiotto ti esplode da dentro, ‘sottopelle’. E lo lasci sbocciare e fiorire da dentro di te.

don Walter Magni