Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 25 Maggio 2025 – don Walter Magni

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VI Domenica dopo Pasqua

25 Maggio 2025 Anno CRito Ambrosiano

Popoli tutti, lodate il Signore, alleluia!

Giovanni 16,12-22: In quel tempo. Il Signore Gesù disse ai discepoli: 12«Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso. 13Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità, perché non parlerà da se stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future. 14Egli mi glorificherà, perché prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà da quel che è mio e ve lo annuncerà. 16Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete». 17Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: «Che cos’è questo che ci dice: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”, e: “Io me ne vado al Padre”?». 18Dicevano perciò: «Che cos’è questo “un poco”, di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire». 19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: «State indagando tra voi perché ho detto: “Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete”? 20In verità, in verità io vi dico: voi piangerete e gemerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete nella tristezza, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. 21La donna, quando partorisce, è nel dolore, perché è venuta la sua ora; ma, quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. 22Così anche voi, ora, siete nel dolore; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia». 

Fratelli, sorelle, 

il brano evangelico che ci propone la liturgia di questa domenica (VI di Pasqua, 25 maggio 2025) è tutto un rincorrersi, un susseguirsi di verbi al futuro. Come uno scampanio di verbi che ci proiettano nel futuro. E poi ecco sgusciare, tra le parole che il Signore pronuncia, un’espressione che va nella stessa direzione: “un poco”, “un poco ancora e mi vedrete”. Cosa ci sta dicendo Gesù tra le righe? 

“Molte cose ho ancora da dirvi” 

Si tratta di verbi al futuro che riguardano Gesù, ma che riguardano anche noi. Quella di Gesù, infatti, non è un’avventura chiusa, ma aperta. Preziosa per tutti coloro che, donne e uomini, non hanno mai spento, né si lasciano spegnere nei desideri che contano, nelle attese più vere. Che credono sperando contro ogni speranza. E credere nella speranza significa dare corpo al nostro bisogno di svelamento di senso, a quel bisogno mai concluso, infinito, di capire.

E tutto questo comporta anche un senso del limite e di incompiutezza che a volte ci affatica, così come si fatica a vedere la luce, oltre certe nubi nere che talvolta si stagliano all’orizzonte. E Gesù sa bene chi siamo e S’intenerisce sapendo che le nostre spalle faticano a portare la pienezza della Sua verità. E commuove sentirGli dire ai Suoi così: “Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso”. Così osa prometterci una venuta che non attenua il desiderio. Non uno svelamento di Sé immediato e pieno, non un cammino che si conclude una volta per tutte.

Ci promette, invece, il dono del Suo Spirito che ancora ci verrà incontro per raccontarci di Lui in pienezza: “Quando verrà lui, lo Spirito della verità, vi guiderà a tutta la verità”. Ci è così promessa l’avventura di una guida che ci preservi da certi deragliamenti. In quel nostro andare di monte in monte, inquieti, dietro un mistero dell’andare che sempre ci seduce. Così che ogni volta che apriamo una pagina di vangelo o una pagina – inquieta o serena che sia – della nostra vita, diventa prezioso riandare a questa promessa di Gesù ai Suoi amici. 

“Vi annuncerà le cose future” 

La bellezza di avere una guida che “non parlerà da sé stesso, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annuncerà le cose future”. Una guida che ci farà migrare, ci addentrerà – sempre più profondamente – nelle parole stesse di Gesù. Quelle dette da Lui e quelle in sospeso, che alludono alle cose future che Lo riguardano. Che non significa che lo Spirito si piega ai nostri pronostici, ma che piuttosto intende evocare le cose che il futuro lo meritano davvero; le cose che dovremmo continuamente portare nel cuore nel Suo nome.

A questo proposito potrebbe essere illuminante riferirci all’episodio del libro degli Atti ricordato dalla liturgia odierna. Si dice, infatti, che “Paolo, in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo; si fece un grande silenzio ed egli si rivolse loro ad alta voce in lingua ebraica, dicendo: “Fratelli e padri, ascoltate ora la mia difesa davanti a voi”. Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero ancora più silenzio”. Fecero silenzio come fossero fermi al presente, alla loro lingua, alle loro tradizioni. Ma quando si ruppe il silenzio?

Quando Paolo, dopo aver evocato la sua illuminazione sulla strada di Damasco, ricordò che, in una successiva visione, da Gesù stesso gli erano state rivolte queste parole: “Va’, perché io ti manderò lontano, alle nazioni”. E se fino ad allora l’avevano ascoltato, all’udire queste altre parole cominciarono ad alzare la voce gridando: “Togli di mezzo costui; non deve più vivere!”. Diventando impenetrabili alle cose che hanno un futuro: quell’andare lontano nel Suo nome, verso le nazioni in forza di Lui. 

“Un poco ancora” 

E noi come ce la passiamo a riguardo delle cose future? Per questo Gesù ha usato un’espressione che ancora ci incuriosisce: “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete”. Che proprio così capiterà ai Suoi, nei giorni della Sua passione: che per un poco L’avrebbero visto, ma poi per un poco non L’avrebbero visto più. Come la nostra vita, fatta di eventi segnati dal poco. Una vita fatta di traversate serene e burrascose, di cieli limpidi e all’improvviso sporcati da ordigni di morte.

E il nostro Dio che non ci sottrae alle bufere e non attenua il grido della donna che partorisce. Ma ci sta accanto, come capita di un uomo che in sala parto tiene per mano la sua donna che sta per partorire. Come si sentiva tenuta per mano Etty Hillesum, quando scriveva nel Diario: “Mio Dio, prendimi per mano, ti seguirò da brava, non farò troppa resistenza.

Non mi sottrarrò a nessuna delle cose che mi verranno addosso in questa vita, cercherò di accettare tutto e nel modo migliore. Ma concedimi di tanto in tanto un breve momento di pace. Non penserò più, nella mia ingenuità, che un simile momento debba durare in eterno, saprò anche accettare l’irrequietezza e la lotta. Il calore e la sicurezza mi piacciono, ma non mi ribellerò se mi toccherà stare al freddo purché tu mi tenga per mano.

Andrò dappertutto allora, e cercherò di non avere paura. E dovunque mi troverò, io cercherò di irraggiare un po’ di quell’amore, di quel vero amore per gli uomini che mi porto dentro…”. Come la nostra vita quando la viviamo sino in fondo, sentendo – che grazia – che Lui ci tiene ben stretti nella Sua mano.

don Walter Magni