VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI
SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno C – Rito Ambrosiano – 25 Settembre 2022
Gustate e vedete com’è buono il Signore
Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6,51-59 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 51«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Fratelli, sorelle
Gesù ha inventato l’Eucaristia e ce ne parla a modo Suo, identificandoSi con un pane che genera vita nuova, un pane che è “disceso dal cielo”. Espressioni che forse riteniamo di comprendere, ma non è scontato. Stiamo attenti, infatti, ai possibili fraintendimenti e a certi pregiudizi ci ripete la Parola di questa domenica (IV dopo il Martirio di s. Giovanni il precursore, 25 settembre 2022).
“Questo linguaggio è duro”
Il libro dei Proverbi ci ricorda che “la sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola”. È la sapienza stessa di Dio, la sapienza che è Dio, che si costruisce una casa dove agli invitati viene chiesto di bere alla “sua tavola” e di bere “il suo vino”. Con un invito molto diretto a stare dalla sua parte: “abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”. Un invito che potremmo applicare all’eucaristia, l’unico e grande segno che Gesù stesso ci ha chiesto di ripetere in Sua memoria. Con quale sapienza Gesù ha istituito l’Eucaristia? Quale intelligenza è richiesta ancora oggi ai cristiani nei suoi confronti? Apparteniamo a un’epoca nella quale tanti linguaggi si trasformano e molti segni chiedono d’essere ridetti in modo comprensibile e accattivante. E l’Eucaristia è il gesto più alto che Gesù ci ha chiesto di continuare nel Suo nome: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Quel segno grande descritto dal gesto semplice e abituale di lasciare il proprio posto in chiesa, mettendoci in fila per fare la comunione. Un gesto che per molti si ripete abitualmente, spesso in modo meccanico e scontato, senza pretendere di mettere in capo in quel momento chissà quale sapienza. Non stupisce pertanto che i Suoi discepoli, dopo aver sentito Gesù spiegare l’Eucaristia comincino a defilarsi, giustificandosi con queste parole: “questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (6,62).
Entrare in comunione con tutto Gesù
Lo stesso Paolo, nell’epistola odierna registra qualche fatica da parte della comunità di Corinto a comprendere l’Eucaristia. Evidenziando addirittura il rischio di una sorta di travisamento idolatrico del gesto eucaristico: “state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti”. Per questo, dunque, invita i cristiani di Corinto, a un atto di maggiore consapevolezza, a una presa di coscienza, dicendo loro: “giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”. Il punto sul quale siamo invitati anche noi a fissare l’attenzione è propriamente l’atto concreto con il quale facciamo la comunione che come tale ci riporta a esprimere un rapporto, una relazione con Gesù in termini pieni. Non rendersi conto del fatto che, facendo la comunione, si entra in una intimità e profondità del mistero divino che in Gesù si racchiude comporta una sorta di svilimento di quel gesto ad un atto di idolatria, di semplificazione e riduzione del mistero di Dio ai nostri bisogni e ai nostri schemi religiosi devozionali. Proprio perché entrare in intimità di rapporto con Lui comporta avere consuetudine con il Suo Cuore, i Suoi desideri più profondi, i Suoi sentimenti, i Suoi ideali più grandi. Mi commuove il pensiero che i monaci di Cluny, intorno all’anno Mille, quando si accostavano alla comunione, si toglievano le calzature. Come Mosè al cospetto del roveto ardente. Dovremmo tornare a coltivare più rispetto e venerazione per l’eucaristia.
Man hu? (che cos’è?)
Il rischio della banalizzazione dell’Eucaristia è in agguato, ridotta ormai a un gesto di appartenenza e di devozione. Qualcosa che appartiene al passato. Un reperto archeologico che ci riporta a un tempo nel quale il culto eucaristico sembrava esagerato e persino retorico. Forse i bambini, ma anche tanti giovani, potrebbero ripetere – vedendo i nonni fare la comunione in occasione della Messa – lo stesso interrogativo che gli Ebrei avevano pronunciato, vedendo la manna nel deserto: man hu? Che cos’è?
E questa stessa domanda ce la portiamo dentro tutti. Quante volte ci siamo chiesti: perché faccio la comunione? Mi rendo conto di cosa sto facendo? E poi: cos’è veramente l’Eucaristia? Abbiamo tutti bisogno di tornare a ricomprendere l’Eucaristia. Al punto che dovremmo ristabilire un nuovo equilibrio tra l’esigenza di una purificazione previa nei confronti dell’Eucaristia con il sacramento della Confessione, pure questo molto disertato oggi, e un profondo e reale collegamento tra Eucaristia e remissione dei peccati. Come dice S. Ambrogio: “Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina. […] Chi ha una ferita, cerca la medicina. La [nostra] ferita è l’essere soggetti al peccato, la medicina è il celeste e venerabile sacramento” (De sacramentis, V,25); “quanto è più ragionevole ricevere la comunione ogni domenica, come rimedio ai nostri mali, umili di cuore, credendo e confessando di non meritare questa grazia; invece di gonfiarci di questa vana persuasione che diventeremo tra un anno degni di riceverla” (S. Giovanni Cassiano, Conf. 23,21).
don Walter Magni