Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 26 Dicembre 2021 – don Walter Magni

SANTO STEFANO PRIMO MARTIRE

Domenica 26 dicembre 2021 – II giorno dell’ottava di Natale

Festa – Rito Ambrosiano

Il primo sangue a testimonianza del Signore

VANGELO Gv 15, 18-22 – Un servo non è più grande del suo padrone: hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi. – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 18«Se il mondo vi odia, sappiate che prima di voi ha odiato me. 19Se foste del mondo, il mondo amerebbe ciò che è suo; poiché invece non siete del mondo, ma vi ho scelti io dal mondo, per questo il mondo vi odia. 20Ricordatevi della parola che io vi ho detto: “Un servo non è più grande del suo padrone”. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola, osserveranno anche la vostra. 21Ma faranno a voi tutto questo a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato. 22Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero alcun peccato; ma ora non hanno scusa per il loro peccato».

Fratelli e sorelle,

sorprende la contiguità liturgica del Natale con la festa di Santo Stefano (II giorno, ottava di Natale, domenica 26 dicembre 2021). Quasi che nel contesto del Natale appena celebrato già si potesse intravvedere, nel martirio di santo Stefano, il compimento della Pasqua di Gesù “Signore, è Natale è già Pasqua?” si domandava una preghiera scritta da un caro amico qualche anno fa.

Assomigliare a Lui

Piace questa consonanza. Questa somiglianza profonda che la Parola definisce con lo stesso morire di Gesù. Dice il libro degli Atti: “E lapidavano Stefano che pregava e diceva: ‘Signore Gesù, accogli il mio spirito’. Poi piegò le ginocchia e gridò a gran voce: ‘Signore, non imputare loro questo peccato’. Detto questo morì”. Quel suo pregare rendendo lo spirito, sussurrando parole di perdono per i suoi uccisori identifica Stefano nell’orizzonte supremo della Pasqua di Gesù. Ci è dato così di intuire che proprio questa somiglianza rimanda a momenti di ascolto e di sequela di Gesù da parte di Stefano che già erano stati avviati nell’arco della vita. Evidenziando alcuni tratti del Maestro che Stefano avrebbe fatti sempre più suoi.

Come una continua ricerca di senso che passa in una continua ricerca di relazione con Lui. Paolo, nell’Epistola, segnala gli elementi decisivi di questo esercizio nello Spirito che Stefano deve aver cercato. Quando esorta Timoteo dicendo: “annunzia la parola, insisti al momento opportuno e non opportuno, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e insegnamento. Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina”. Così, nei giorni nei quali la sana dottrina del Vangelo non sarà più sopportata è possibile che ad alcuni discepoli del Signore venga ancora richiesta la suprema testimonianza del dono della vita nel nome Suo. Senza provare alcuna vergogna nel professare il Suo santo nome; senza più sfuggire alla possibilità della croce alla quale neppure Gesù S’era sottratto per amore.

La forza della fragilità

E l’intensità di questa ricerca di somiglianza e di sequela trova nella Parola il suo punto centrale: il primato della Parola. Questa è la strada che ha permesso a Stefano di giungere alla testimonianza suprema Ritrovando nella Parola la forza e la prontezza che ricorda anche Pietro: “adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (I Pt 3,15). E Gesù stesso l’aveva previsto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola osserveranno anche la vostra….”. Se hanno perseguitato il Maestro è inevitabile che anche i Suoi possano subire la stessa sorte. Precisando che il senso ultimo del martirio cristiano prescinde da ragioni ideologiche o di appartenenza culturale o religiosa.

Se questo avviene, in ciò va comunque riconosciuto e ritrovato, come ragione ultima e profonda, il nome di Gesù, il Suo messaggio d’amore, la sua sana dottrina. Certo, rimane lo scandalo della debolezza di Dio e oggi qualcuno va sussurrando che la debolezza di Dio è l’ultima trovata di un uomo debole, che si costruisce un Dio a sua immagine e somiglianza, un Dio debole, un Dio di comodo. Eppure è tutt’altro che accomodante Colui che per amore si ritrae morendo e dice: “fate questo in memoria di me”. Meno esigente e ben più accomodante un Dio che, spinto dalla sua onnipotenza, invade, occupa l’altro dicendo: “occupa, invadi il mistero, la vita, occupa e invadi l’altro, occupa e invadi la terra”.

Dio della tenerezza

Mi affascina e insieme mi provoca l’immagine di un Dio capace di tenerezza, che si fa tenerezza, piccolo e indifeso come a Natale. Un Dio che ci provoca alla tenerezza e alla misericordia senza misura: “Dio ha tanto amato il mondo, da dare il suo Figlio unigenito” (Gv 3,16). L’immagine di un Dio che Si intenerisce e Si ferma davanti a un volto, davanti alla fragilità di un volto. Per questo non puoi scandalizzarti della debolezza degli uomini e delle donne di questo mondo, come non hai il diritto neppure di scandalizzarti dei tuoi limiti e delle tue debolezze, se di fatto Lui non ne ha mai fatto un problema. Ma anzi, ha stravolto i nostri limiti e le nostre povertà come fossero delle vere e proprie risorse della grazia.

Dio Si è fatto debole forse anche per questo: perché nel cuore di ogni debolezza là dove un giorno saresti arrivato, tu trovassi il Suo nome e il Suo mistero. Il nome di Gesù libera, salva, guarisce, caccia lo spirito del male, conduce ad ampi spazi di libertà, a nuove ragioni di speranza, a terre inesplorate dell’amore, purifica il nostro cuore e lo rende nuovo, lo fa passare dalla durezza del cuore (sclerocardia) alla tenerezza e alla misericordia; rende il cuore docile, malleabile, pronto a fare la volontà di Dio. Così che il cuore che conosce il nome di Gesù sarà anche tutto tenerezza e amore, dolcezza, forza e misericordiosa compassione. “Dentro di me c’è una sorgente profonda. E in quella sorgente c’è Dio. Sovente essa è coperta di pietre e sabbia: allora Dio è sepolto. Allora bisogna dissotterrarlo di nuovo” (E. Hillesum).

don Walter Magni

 

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