DOMENICA CHE PRECEDE IL MARTIRIO DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno A – Rito Ambrosiano – 27 Agosto 2023
Dammi vita, Signore e osserverò la tua parola
Marco 12,13-17 – –In quel tempo. I sommi sacerdoti, gli scribi e gli anziani 13mandarono dal Signore Gesù alcuni farisei ed erodiani, per coglierlo in fallo nel discorso. 14Vennero e gli dissero: «Maestro, sappiamo che sei veritiero e non hai soggezione di alcuno, perché non guardi in faccia a nessuno, ma insegni la via di Dio secondo verità. È lecito o no pagare il tributo a Cesare? Lo dobbiamo dare, o no?». 15Ma egli, conoscendo la loro ipocrisia, disse loro: «Perché volete mettermi alla prova? Portatemi un denaro: voglio vederlo». 16Ed essi glielo portarono. Allora disse loro: «Questa immagine e l’iscrizione, di chi sono?». Gli risposero: «Di Cesare». 17Gesù disse loro: «Quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio». E rimasero ammirati di lui.
Fratelli, sorelle,
Nell’episodio evangelico di questa domenica (che precede il Martirio di San Giovanni il Precursore, 27 agosto 2023), alla domanda di chi vuole metterLo alla prova con malizia, Gesù risponde giocando comunque al rialzo. Se discutere con Lui comporta la dialettica accattivante di un dialogo intelligente e furbo, per un altro ti immette nell’orizzonte vincente del trionfo della verità e della grazia.
Primato di Dio
Consolidandosi il dominio romano anche sul territorio della Giudea, l’imposta da pagare in moneta romana era il segno evidente del suo potere. Ma per gli ebrei non si trattava solo di accettare o combattere un predominio imperiale sempre più gravoso. Per tutti gli ebrei questa imposizione fiscale comportava dei richiami religiosi molto forti. La stessa moneta con la quale il popolo ebraico era chiamato a pagare periodicamente le tasse ai romani riportava un’effigie del divino imperatore che contrastava fortemente con Jahwé, l’unico vero Dio, Signore del cielo e della terra del quale non era possibile farsi alcuna immagine.
Se altre culture potevano accettare di identificare il proprio re con una delle tante divinità o con la divinità suprema, l’ebraismo non poteva sopportare la divinizzazione di un uomo. Nessun re, nessun imperatore poteva oscurare o pretendere di occupare il primato di Dio nei confronti del popolo di Israele. Pertanto, quando Gesù, da ebreo convinto, dice che “quello che è di Cesare rendetelo a Cesare, e quello che è di Dio, a Dio”, sta semplicemente riaffermando che Jahwé è l’unico e supremo Signore del popolo di Israele.
Anzi: è il vero Dio, che rovescia “i potenti dai troni” come cantava Maria nel Magnificat (Lc 1,51-52). E a questo Dio va attribuito tutto quello che è Suo. C’è, infatti, un primato di Dio nella vita di ogni uomo che nessun potere umano potrà mai pretendere di usurpare. L’immagine di Dio non si troverà mai impressa su una moneta. Va piuttosto cercata nelle pieghe più profonde del cuore degli uomini che Dio ha creato.
Più che pagare, restituire
C’è un altro passaggio da evidenziare in questo serrato dialogo tra Gesù e i farisei. Tanto questi sono preoccupati di domandare se “è lecito, o no, pagare il tributo a Cesare”, quanto Gesù non cade nel tranello del loro gioco, subdolo e pretestuoso. Giocando piuttosto al rialzo, Gesù contesta la loro posizione, passando dall’uso ideologico e servile del verbo pagare al valore ben più ampio e liberante del verbo restituire, rendere. Risponderà loro dicendo: “rendete a Cesare quello che è di Cesare”. Come dicesse: se questa moneta è di Cesare perché se l’è fatta a suo uso e consumo, allora ridatela a lui, avendo voi accettato di trattare con lui, sottomettendovi alle regole del suo sistema finanziario. Dunque, una restituzione dovuta e che l’uso del suo denaro inevitabilmente impone.
Se si entra in un rapporto interessato con un sistema, è giocoforza accettare delle regole, finendo per entrare nell’orizzonte del predominio tributario dell’imperialismo romano di allora, come dell’imperialismo finanziario di oggi. Con tutte le degenerazioni che potrebbe comportare, evasione ed usura comprese. Così anche le nostre domande potrebbero diventare più stringenti: cosa restituire a un sistema che già ti sta sfruttando? Che servizi reali comporta un sistema che ti sta sfruttando? Come si combinano onesta restituzione e l’esosità di sistema che semplicemente ti si stringe addosso e ti consuma? Domande che finiscono per riproporsi se solo si accetta di attenersi a un criterio di equità e di giustizia sociale che al centro mette anzitutto l’uomo, creato a immagine di Dio.
Oltre il restituire, ringraziare E Gesù ci obbliga ad andare oltre, scoprendo che là dove si sa restituire scatta il dinamismo del ringraziamento. Come fossimo sempre in debito con Lui, avendoci fatto dono di una vita che è impagabile. Una cultura, invece, che esalta in modo esasperato l’individualismo, facendo precedere i diritti ai doveri, tende a consumare e ad annientare il senso della gratuità dell’esistenza. Come un dono non quantificabile. Come dovessimo imparare a recuperare semplicemente la verità profonda di una preghiera che avevamo imparato da bambini: “Ti adoro mio Dio, ti ringrazio di avermi creato, fatto cristiano e conservato in questa notte”. Riconoscendo che anzitutto sta Dio, il nostro Dio che ci ha creati gratuitamente, senza nulla chiederci in cambio, senza pretendere alcuna restituzione.
Creati e amati e basta! Piuttosto a un debito non ci potremo sottrarre: riconoscere d’essere umani, gli uni e gli altri. Sentendoci parte di un unico orizzonte nel quale poter accogliere il valore inestimabile dell’altro che semplicemente c’è: potendolo incontrare, accogliere e apprezzare. All’altro va sempre riconosciuto il diritto di esistere, d’essere umano. E al nostro creatore questo è quanto basta. Neppure ci ha mai imposto di appartenere a una religione o di esprimere una fede particolare nei suoi confronti. Ciò che più Lo rattrista è il nostro misconoscimento dell’altro. E là dove prevarichiamo sempre ci chiederà con insistenza: “dov’è Abele tuo fratello?” (Gn 4,9). Perché davvero ogni uomo è mio fratello (Paolo VI) perché anzitutto appartiene a Dio, al Suo orizzonte. Risentiremo allora ancora risuonare la parola di Gesù: “rendete (…) a Dio quello che è di Dio”.
don Walter Magni