III DOMENICA DOPO PENTECOSTE
29 Giugno 2025 Anno C – Rito Ambrosiano
Il Signore è bontà e misericordia
Matteo 1,20b-24b – In quel tempo. Apparve in sogno a Giuseppe un angelo del Signore e gli disse:
«Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo; ella darà alla luce un figlio e tu lo chiamerai Gesù: egli infatti salverà il suo popolo dai suoi peccati». Tutto questo è avvenuto perché si compisse ciò che era stato detto dal Signore per mezzo del profeta: / «Ecco, la vergine concepirà e darà alla luce un figlio:
/ a lui sarà dato il nome di Emmanuele, / che significa Dio con noi». Quando si destò dal sonno, Giuseppe fece come gli aveva ordinato l’angelo del Signore.
Fratelli, sorelle,
con questa domenica (III dopo Pentecoste, 29 giugno 2025) siamo agli inizi, ai primordi della salvezza. E gli esegeti ci ricordano che la pagina della Genesi di questa liturgia è stata scritta dopo che tanti eventi biblici erano stati già narrati. E se l’intento non era certo quello di una sequenza di fatti o l’accumulo di dati che la scienza poi avrebbe potuto elaborare, sottesa stava forse ci sta una domanda: “da dove viene il male, se la creazione di suo è anzitutto bontà e bellezza?”.
“La madre di tutti i viventi”
Perché se la Bibbia si mette a raccontare non è certo per regalarci qualche definizione, qualche concetto. Piuttosto delle suggestioni, delle domande che potrebbero anche dare adito a qualche fraintendimento. E proprio di questa pagina della Genesi non solo sono state date tante interpretazioni, ma spesso trascinati da una immaginazione folle, si sono aperti tanti fraintendimenti. A cominciare dalla figura di Eva che invece merita, avendone pieno diritto, d’essere difesa, riletta con uno sguardo volutamente più delicato e rispettoso.
Così come appunto la guarderebbe Dio, suo e nostro creatore! Difenderla così da quanto, spesso in modo malizioso e volgare, è stato volutamente associato al suo stesso nome. Anzi, a ben guardare dentro questa pagina, la donna della quale tanto si parla e si dice, è semplicemente e anzitutto una donna senza nome. Perché il nome lo inventerà poi guardando a lei l’uomo che le stava di fronte.
Dopo tutto quello che era successo quel giorno, infatti, “l’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi”. Affermazione che soprattutto dovrebbe scatenare in noi una grande meraviglia. Perché qui la donna viene chiamata Eva per dire di lei che è anzitutto “Vita”. Vita che genera vita, quale “madre di tutti i viventi”. E dunque è anche madre mia, madre nostra, madre di tutti. E chi osa ancora sporcare, infangare il nome di una madre?
Se ci siamo riempiti di tanti stereotipi a suo riguardo è perché non l’abbiamo voluta capire ed è stato più comodo riferirsi al grottesco che alla grandezza di questa donna, Eva, tua madre, la madre di tutti i viventi.
“Dove sei?”
E anche il dialogo tra la donna e il serpente non si è svolto in modo appartato. Si dice, infatti, che prese del frutto dell’albero “e ne mangiò: poi ne diede anche al marito, che era con lei, e anch’egli ne mangiò”. Più che della seduzione della donna qui si potrebbe disquisire della complicità dell’uomo che le stava accanto.
In un racconto dove il Signore non risparmia a nessuno accuse precise e neppure nasconde le conseguenze amare di certe scelte. Anzi, senza cedere all’ingiuria, qua e là nel racconto si possono anche registrare alcuni frammenti di tenerezza. Perché Dio non intende precipitare l’uomo e la donna nell’inesorabile. Senza togliere loro le fatiche della risalita, apre anche a loro le porte della speranza.
Per questo il racconto si chiude dicendo che “l’uomo chiamò sua moglie Eva, perché ella fu la madre di tutti i viventi”. Come l’uomo dicesse con tenerezza alla sua donna: “tu sei vita!”, ancora da te la vita può scorrere, può ripartire.
Così, prendendo le distanze da una innocenza ingenua, l’umanità comincia a fare i conti con la finitudine e la fragilità. Perché davanti a un frutto desiderabile devi pur scegliere se mangiarlo o no. E se il Signore ti cerca devi decidere se sottrarti a Lui o mostrarti per quello che sei, nella tua nudità. E quella domanda il Signore non ha mai smesso di ripeterla anche a noi: “Dove sei?”.
Ed io dove sono? “Sarete come dei” diceva il serpente: dove ci sta portando il voler essere come Dio? Dimenticare spesso la nostra finitudine, lanciarci in deliranti progetti di onnipotenza, sarà la devastazione certa della vita e del mondo che Dio ci ha regalato!
“Prese con sé la sua sposa”
Ma ecco che, stando al Vangelo, come d’incanto l’umanità ferita e fragile, che la Genesi ci aveva raccontato, ritrova grazia e vigore. Leggendo proprio la Genesi, del resto, forse un sospetto ci aveva preso: “Ma Dio, dopo averci creati, ci vorrà ancora bene?”
Certo che sì e senza ricominciare da capo. Sentite piuttosto come è andata, stando alle Sue intenzioni: “Ecco come avvenne la nascita di Gesù Cristo: sua madre Maria, essendo promessa sposa di Giuseppe, prima che andassero a vivere insieme si trovò incinta per opera dello Spirito Santo. Giuseppe suo sposo, che era giusto e non voleva ripudiarla, decise di licenziarla in segreto”.
E Giuseppe quella sera era andato a dormire portandosi nel cuore di certo tutto il subbuglio della notizia dura che Maria gli aveva dato. Ma lui l’amava, l’amava tanto. E in quella notte rimuginava qualche strada per venirne fuori, senza far male a nessuno.
E fu che proprio un angelo in sogno – non un serpente – gli desse la soluzione: “Giuseppe, figlio di Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa. Infatti, il bambino che è generato in lei viene dallo Spirito Santo”. E lui, in silenzio, come si dirà più avanti: “prese con sé la sua sposa”.
Non vince lo squallore della diffidenza, ma l’affidamento. Proprio da dentro questa nostra povera terra, debole e fragile, ma sempre capace di generare, di far germogliare la grazia della Sua inestimabile presenza tra noi. Uomini fragili, impastati di humus, di una terra sempre disponibile a generare. In forza del “sì” pronto di Maria e dell’umiltà docile e silente di Giuseppe, suo sposo.
don Walter Magni