L’ingresso del Messia
Fratelli, sorelle,
il Vangelo di questa Quarta domenica di Avvento (3 dicembre 2023) ci racconta di Gesù, che in prossimità di Gerusalemme invita due Suoi discepoli a cercare un asino in vista del Suo ingresso trionfale nella Città Santa. Un dizionario biblico nota che “l’asino della Palestina è molto vigoroso, sopporta il caldo, si nutre di cardi; ha una forma di zoccoli che rende molto sicuro il suo incedere, costa poco mantenerlo. I suoi soli difetti sono la caparbietà e la pigrizia”.
“Il Signore ne ha bisogno”
E confonde il fatto che Gesù possa si serva proprio di un asinello per entrare trionfante in Gerusalemme. Infatti: “se qualcuno vi dirà: ‘Perché fate questo?’, rispondete: ‘Il Signore ne ha bisogno’”. Di cosa ha propriamente bisogno? In un passo parallelo (Mt 21,10-11) si annota che Gesù, scegliendo un asino, voleva realizzare la profezia di Zaccaria quando diceva: “Ecco il tuo re a te viene, egli è giusto e vittorioso, è mite e cavalca un asino, un puledro figlio di un’asina” (9,9).
E se resta il fatto che Gesù sapeva d’essere re – “Io sono re”, dirà a Pilato (Gv 18,37) –, decidendo di cavalcare quell’asino voleva infondo convincere i Suoi discepoli della verità ultima del Suo Regno. Come dicesse loro: se volete seguirmi, capovolgete i vostri pensieri di guerra, abbandonate ogni pretesa di predominio e di sopraffazione nei confronti degli altri. A Roma, tra i resti di una scuola per gli schiavi destinati al servizio dell’imperatore (III secolo d. C.), si conserva una lastra di pietra che raffigura un uomo crocifisso con una testa d’asino, con incisa questa scritta: “Alessàmeno adora il suo dio”.
Non è difficile interpretare, immagine e scritta, come una voluta beffa del cristianesimo. Ma pure una sorta di riconoscimento del senso profondo della stessa fede dei cristiani. Come si volesse cogliere in quel crocifisso con la testa d’asino la stoltezza della croce che si contrappone alla sapienza del mondo, della quale parla anche Paolo nella Prima ai Corinzi: “Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1,25).
“E li lasciarono fare”
Così i due discepoli, attenendosi alle indicazioni di Gesù, “trovarono un puledro legato (…) e lo slegarono. Alcuni dei presenti dissero loro: ‘Perché slegate questo puledro?’. Ed essi risposero loro come aveva detto Gesù. E li lasciarono fare”. Entrano dunque in scena dei personaggi che semplicemente lasciano fare, senza neppure pretendere una spiegazione. Di loro non sappiamo nulla, se non di questa prontezza un po’ arrendevole nei confronti di Gesù che in quel momento aveva bisogno di un asino per entrare in Gerusalemme.
Persone marginali, ma immortalate da una memoria evangelica per sempre. Padroni di un asino che diventerà addirittura più famoso di loro. Cosa pensavano di Gesù? Si saranno schierati dalla Sua parte? A noi non è dato di sapere. Neppure se s’erano anche loro intrufolati, almeno incuriositi tra la folla che di lì a poco avrebbe osannato Gesù che entrando in Gerusalemme aveva deciso di andare incontro così alla consumazione della Sua Pasqua. Tutto per loro si decide in quel: “e li lasciarono fare”, attenendosi al desiderio, al fare stesso di Gesù che proprio così dava compimento alla volontà del Padre Suo.
Quasi bastasse un piccolo gesto, un cenno, un assenso per far parte della cerchia del Salvatore. Che ne sappiamo del resto dell’esito, dell’effetto a volte dirompente di tante nostre parole pronunciate e dimenticate? Di alcuni gesti che a noi, col senno di poi potevano sembrare insignificanti, normali? Ma non certo al cuore di Dio che tutto raccoglie e fa confluire nel suo immenso desiderio di salvezza e di misericordia.
“Ed egli vi salì sopra”
Così i due discepoli “portarono il puledro da Gesù, e vi gettarono sopra i loro mantelli ed egli vi salì sopra”. E mentre la gente Gli si accalca attorno, qualcuno vedendo la scena potrebbe dire: anch’io “vado avanti come quell’asino / di Gerusalemme, (…) / Io non sono sapiente, / ma una cosa so: so di portare Cristo / sulle mie spalle / e la cosa mi rende più orgoglioso / di essere borgognone o basco. / Io lo porto, ma è lui che mi guida: / io credo in lui, lui mi guida verso il suo regno. / Chissà quante volte si sente sballottato il mio Signore, / quando inciampo contro una pietra! / Ma lui non mi rinfaccia mai niente. / È così bello percepire / quanto sia buono e generoso con me (…). / Io vado avanti in silenzio. / È strano quanto ci si capisca / anche senza parlare! / La sua sola parola, che io ho ben capito, / sembra essere stata detta apposta per me: / “Il mio giogo è facile da sopportare / e il mio passo leggero” (Mt 11,30) / (…) Io vado avanti come un asino / che porta Cristo sulle sue spalle” (R. Etchegaray). Intanto la gente acclama Gesù cantando: “Osanna! Benedetto colui che viene nel nome del Signore!”. E Tu Signore procedi in silenzio e dall’alto di quel trono improvvisato ci guardi ripetendoti dentro: “Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,28-30). Lasciamo che anche così il nostro Re avanzi, anche senza vederLo in faccia. Presi un po’ anche dai nostri pensieri e le nostre piccole preoccupazioni, ma orgogliosi di portarLo ancora sulle nostre spalle.
don Walter Magni
“Sento che ancora oggi la domanda su questa bellezza ci stimola fortemente: “Quale bellezza salverà il mondo?”. Non basta deplorare e denunciare le brutture del nostro mondo. Non basta neppure, per la nostra epoca disincantata, parlare di giustizia, di doveri, di bene comune, di programmi pastorali, di esigenze evangeliche. Bisogna parlarne con un cuore carico di amore compassionevole, facendo esperienza di quella carità che dona con gioia e che suscita entusiasmo: bisogna irradiare la bellezza di ciò che è vero e giusto nella vita, perché solo questa bellezza rapisce veramente i cuori e li rivolge a Dio (…). È l’invito rivolto anche a noi a proseguire il nostro pellegrinaggio verso la Gerusalemme del cielo senza paura, sapendo che Egli è con noi e che perciò la vita è bella, ed è bello impegnarsi per il Regno. È l’invito ad accogliere, annunciare e condividere con tutti la bellezza che salva”. (C.M. Martini, Quale bellezza salverà il mondo? 1999)
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