DOMENICA DEL CIECO
30 marzo 2025 Anno C – Rito Ambrosiano
Signore, nella tua luce vediamo la luce
Fratelli, sorelle,
al centro del racconto del Cieco nato (Domenica del Cieco, 30 marzo 2025) sta la forza sanante dello sguardo di Gesù. Il Figlio di Dio, che al termine di ciascun giorno della creazione, voltandoSi, sostava ammirato nel vedere quanto aveva fatto: “ed era cosa buona” (Gn 1,4.10.12.18.21). Sino a stupirSi dell’uomo, il sesto giorno, esclamando “che era molto bello” (Gn 1,31). Bellissimo potremmo dire.
“Passando vide”
Merita, dunque, sostare al principio di questo episodio evangelico, dove si dice che Gesù “passando, vide”, poi rapidi si susseguono i fatti. Mentre, infatti, si annota che era appena uscito dal tempio per sfuggire alle pietre dei giudei, subito si aggiunge che “passando, vide”. Cioè, uscì dal tempio: una sconnessione; e “passando, vide”: una connessione; un intreccio di verbi: passare e vedere. Perché si può anche non passare restando al chiuso, barricati nell’indifferenza.
Oppure passare attraversando la vita degli altri, abitandola così come ti si squaderna davanti. Passare dunque, ma anche vedere. Perché si può passare ad occhi spenti, in apparenza aperti, ma con la testa chissà dove. Un vedere sconnesso perché il cuore non c’è e non vedi che sagome senza nome, senza storia, senz’anima! Ma a fronte dei nostri occhi, che spesso non vedono, sta sempre Gesù che “passando vide”. E conta accorgersi del colore dei Suoi occhi, colorati di tenerezza. Perché senza quegli occhi e quel colore, nulla sarebbe mai accaduto.
Tutto si sarebbe impantanato in discussioni accademiche avviate dai Suoi discepoli che Gli domandavano, senza vedere altro: “Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?”. E tutto si sarebbe forse risolto nel disagio, nella ribellione del cuore di quel cieco che sentiva che si voleva solo avviare una conversazione da salotto sulla sua cecità. E questo vedere da lontano, senz’anima, senza compromissione, capita anche a noi oggi, quando ci sembra di vedere, ma tutto permane, nulla accade. Ci manca il colore dei Suoi occhi, quella Sua tenerezza.
“Io sono la luce del mondo”
E poi invece le parole che Gesù pronunciò, generando nel cieco un’emozione infinita. Come avesse detto a tutti: “basta chiacchiere, bisogna operare!”. La stessa emozione che avrebbe provato alla fine del racconto, quando Gesù dirà: “Io sono la luce del mondo”. Cioè: sono la luce di tutto, anche di me, di te che non vedi. E poi il cieco che si sentì toccare dalle Sue mani. La tenerezza di quelle mani che gli plasmavano fango sugl’occhi. E così il cieco sentiva che Gesù l‘aveva guardato davvero e dunque poteva fidarsi delle Sue parole. Perché ci si affida alle parole di qualcuno solo se hai conosciuto il colore dei suoi occhi, sentito il timbro della sua voce, percepito la dolce carezza di quelle mani.
La fede fiducia, quella che si affida, viene da un prima, viene sempre prima. Perché hai conosciuto un colore, una tenerezza che ti avvolge. E le parole non basteranno mai se saranno solo dissertazioni. E l’effetto è immediato: la si chiude lì! E lo dimostra la lunga sequenza centrale del racconto – una vera parentesi – che fa entrare nel dibattito in primis i farisei. Che tanto amano le discussioni, ma hanno occhi che non vedono e non sanno far altro che scacciare quell’uomo che era stato cieco dai luoghi delle loro dispute senza fine.
Ed è una emozione forte sentire Gesù che alla fine dice: “Io sono la luce del mondo”. Come stesse parlando anche a me, che mi sento tanto compagno di quel cieco o peggio, un po’ ammanicato con coloro che in questo Vangelo hanno occhi scoloriti e persi. O sì, certo, Signore con la Tua luce illumina ancora, illumina sempre gli occhi del mio cuore tanto stanco e smarrito.
Lui, riflesso nei tuoi occhi
Così come invita a pregare un’antifona di questa liturgia: Signore, da’ luce ai miei occhi perché non mi addormenti nella morte; perché l’avversario non dica: ‘Sono più forte di lui’. Ma per sfuggire a quale avversario? A quale morte? Sta infatti scritto che “chi non ama è nelle tenebre e rimane nella morte” (1 Gv 3,4). Perché il vero nemico, la vera morte è non amare. Per questo, Signore, con la tua luce illumina il mio cuore. E così si continua a parlare di occhi.
E vengono alla mente altre parole con le quali Gesù ci ha parlato degli occhi, andando in profondità: “La lampada del corpo è l’occhio; perciò, se il tuo occhio è semplice, tutto il tuo corpo sarà luminoso; ma se il tuo occhio è cattivo, tutto il tuo corpo sarà tenebroso. Se dunque la luce che è in te è tenebra, quanto grande sarà la tenebra!” (Mt 6, 22-23).
“Tutto da lì”, dunque, sembra dire Gesù: “dai tuoi occhi”. Come lampada, come grembo da cui sguscia ogni tuo gesto. E se hai occhi meschini non farai che gesti volgari. E se hai occhi in competizione, saranno gesti gretti. E occhi spietati porteranno a gesti disumani. Ma se i tuoi occhi decidono di abbracciare il mondo, allargandosi in un lago di tenerezza, allora sarai capace di gesti che ancora incantano e illuminano la vita. E se i tuoi occhi sono semplici, allora l’affidabilità sarà il segreto della vita che ti circonda. E se negli occhi, nel cuore, ti canta la luce, allora grande sarà la luce. E se infine i tuoi occhi abbracciano Dio, anche per esili fessure, qualcuno allora Lo scoprirà guardandoti. Come fosse Lui, riflesso nei tuoi occhi; come pozza d’acqua, limpida e chiara.
don Walter Magni