Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 4 Maggio 2025 – don Walter Magni

R

III Domenica dopo Pasqua

4 Maggio 2025 Anno CRito Ambrosiano

Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria

Fratelli, sorelle, 

la parola testimonianza risuona con insistenza nella liturgia di questa domenica (III di Pasqua, 3  maggio 2025). Una testimonianza non scontata dato il clima teso e inquieto che attraversa il brano  evangelico. Come se anche Gesù si trovasse immerso in una sorta di subbuglio, di polemiche, di  discussioni che comportano fraintendimenti e complicazioni. 

“Ciò che io vi insegno non è sapienza mia” (Gv 7,16) 

Gesù stava forse vivendo un momento di indecisione. Come quando tanti pensieri ti si accavallavano  dentro e ti domandi cosa è più opportuno fare. Il vangelo di Giovanni ricordava infatti, poco prima  del nostro episodio, che Gesù si trovava in Galilea, mentre i Suoi fratelli più fedeli Lo sollecitavano  a ritornare in Giudea, per dare la Sua testimonianza davanti a tutti: “parti di qui e va’ nella Giudea  perché anche i tuoi discepoli vedano le opere che tu fai. Nessuno infatti agisce di nascosto, se vuole  venire riconosciuto pubblicamente. Se fai tali cose, manifèstati al mondo! Neppure i suoi fratelli  infatti credevano in lui” (Gv 7,3-5). Un sollecito a tornare in Giudea affinché durante la festa Gesù, 

in modo plateale, potesse riconquistarSi la fiducia proprio di quei fratelli che “non credevano in Lui”!  Gesù dapprima Si negò, poi, visto che anche i Suoi se n’era andati, Si mise in cammino anche Lui  verso Gerusalemme, tenendoSi però nascosto. E la folla sottovoce bisbigliava a Suo riguardo. C’era  chi Lo riteneva una persona onesta e chi invece un’imbroglione! (7,12-13). Poi a metà della festa salì  al tempio e Si mise a insegnare creando sconcerto. Tanto che alcuni si domandavano: “Come mai  parla di Scritture, senza aver studiato?” E Lui che rispondeva loro: “ciò che io vi insegno non è  sapienza mia, ma viene da Dio che mi ha mandato” (7,15-16). E la confusione nei Suoi confronti  aumentava, perché tutti sapevano che Lui veniva da Nazareth, mentre il Messia sarebbe dovuto venire  da Betlemme. Come poteva dire che veniva da Dio? Erano un po’ tutti in subbuglio, confusi.  

“So da dove sono venuto e dove vado” 

Insomma, questo è il punto dal quale Gesù non si scardinerà mai, come anche si dice nel vangelo  odierno: Io sono venuto dal Padre mio e quello che dico è perché me lo ha detto lui, l’ho imparato  da lui. E se non volete credere a me, credete almeno alle opere che compio. Capisco che questo vi  confonde, ma Io non posso negare l’intimità che c’è tra me e il Padre. E che quello che faccio lo  compio in nome Suo. Da solo io non faccio niente. Io e il Padre siamo una cosa sola. Leggendo il  brano del Vangelo odierno, infatti, viene da pensare che le parole di Gesù vengono da un luogo altro,  da un luogo alto, non scontato per chi Lo stava ad ascoltare. Così che viene spontanea la domanda: e  allora da dove vengono anche le mie parole? Come mi domandassi: ma le mie parole vengono da un  luogo alto o da un luogo basso e meschino? Gesù, infatti, diceva, al contrario dei suoi oppositori, che  Lui non cercava la Sua gloria. Ci sono dunque parole che vengono dal basso, cioè dalla ricerca della  mia gloria, del mio interesse. A dare autenticità, dunque, non è tanto un luogo fisico, ma un orizzonte  più profondo e intimo. Così, questo ci introduce a sostare meglio anche sul tema della testimonianza,  termine che ricorre spesso nella Parola odierna. Intendendola appunto come qualcosa che viene da  dentro, da una passione alta, che ti potrebbe portare lontano dall’approvazione e dal consenso della  gente. Sino a creare subbuglio e interpretazioni che confondono, così come è avvenuto per Gesù.  

“Ecco perché vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi”. 

E il brano degli Atti ci racconta di Paolo e della sua testimonianza. Perché Paolo il bisogno di  testimoniare Gesù, di raccontare di Lui, se lo porta dentro. E, giunto a Roma, diventa occasione di  testimonianza persino la casa in cui è agli arresti domiciliari. E come la testimonianza, cioè la parola  del Figlio di Dio divenne carne, così anche la nostra testimonianza è chiamata a non rimanere parola  vuota, ma a diventare carne, corpo. Piedi che si affrettano, occhi che si commuovono, mani che  abbracciano, voce che vibra, smuovendo i cuori di chi ascolta e vuole ascoltare! E nel racconto degli  Atti colpisce una sorta di precedenza dei verbi. Ai notabili dei Giudei Paolo dice, infatti: “Ecco perché  vi ho chiamati: per vedervi e parlarvi”. Quasi che il desiderio di vederli venisse prima del desiderio  di parlare loro. E questo vale anche per le nostre parole nei confronti di tutti, di ogni essere creato: se  non li sfioriamo con gli occhi, le nostre parole impallidiscono. Importa cioè desiderare di vedere, di  sfiorare con gli occhi qualcuno prima di parlare, proprio perché a volte sembra di vivere una stagione  in cui si parla senza vedere l’altro. Come succede in certi dibattiti: che mentre uno parla si finge di  ascoltare guardandolo, ma pensando altro. Così tutto diventa parola e nulla accade. Non si parte da  ciò che si vede. E invece per noi il Verbo si è fatto carne. E dai Suoi piedi, dalle Sue mani, dai Suoi  occhi, dalla Sua voce, dalla sua immensa attenzione nei nostri confronti, abbiamo capito che  potevamo credergli davvero. E di questa Sua testimonianza semplicemente Lo ringraziamo.     

don Walter Magni