NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO
Anno A – Rito Ambrosiano
Ultima domenica dell’Anno Liturgico
Gv 18,33c-37 – In quel tempo. 33Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?». 34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?». 36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità, ascolta la mia voce».
Fratelli, sorelle,
l’ultima domenica dell’anno liturgico è dedicata a uno sguardo intenso e preciso nei confronti di “Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo” (5 novembre 2023). A chi vogliamo ancora guardare? Alla retorica di una croce cristiana che talvolta si è imposta sul mondo sovrastandolo o al Vangelo di un re umiliato sino alla morte e alla morte di croce che dal basso pazientemente lo attrae, lo converte?
“Dunque, tu sei re?”
Diamo qualche elemento di contesto all’episodio evangelico che racconta del dialogo tra Pilato e Gesù, nell’imminenza della Sua condanna a morte. L’incontro avvenne a Gerusalemme, nel palazzo del Procuratore in un venerdì di aprile dell’anno 30. Al tramonto sarebbero iniziati i grandi festeggiamenti della Pasqua ebraica e nelle case veniva sacrificato l’agnello che poi sarebbe stato servito per la cena solenne della sera. Nella notte precedente era stato arrestato un certo Gesù di Nazareth che i signori del tribunale ebraico avevano condotto al procuratore romano Pilato perché Lo processasse, giustificando anche secondo la legge romana la Sua condanna a morte. “Tu sei re?”, domandò Pilato a Gesù, attraversato forse dal timore di un complotto popolare che Gesù avrebbe potuto capeggiare.
Gesù rispose sicuro: “Sì, io sono re”, ma specificando subito dopo di non essere un “re di questo mondo”. Le informazioni che Pilato aveva ricevuto contrastavano, infatti, con quanto gli era stato riferito a riguardo di Gesù. Come poteva essere re un uomo che proveniva da Nazaret? Dalle origini così modeste, senza titoli nobiliari da esibire. Ai suoi occhia appariva come un visionario, che aveva scelto i poveri e i pezzenti per darSi una reputazione, anche se di Lui si diceva che facesse cose prodigiose. Ma dove pensava di arrivare mentre gli rispondeva d’essere re: “Sì, io sono re” gli ripeté Gesù, spiazzandolo. Impiantando in lui qualche dubbio, quasi il desiderio profondo e nascosto di capire meglio chi fosse Gesù, quale mistero profondo si nascondesse il Lui.
Un Dio crocifisso confonde
La regalità di Gesù non ha confuso solo Pilato. Ci sta davanti confondendo anche i nostri pensieri. Apparteniamo anche noi a un mondo, a una cultura che farà sempre fatica e continuerà a scandalizzarsi davanti alla pretesa del nostro Dio di rivelarSi passando attraverso lo scandalo della croce. Come già scriveva Paolo: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Ef 2,6-8). Come canterebbe ancora D. M. Turoldo: “È noto all’universo che tu sei la fonte del mio cantare: / la tua Assenza mi fa disperato / la Presenza mi incenerisce: / e se voglio raggiungerti, devo / liberarmi dalla volontà di cercarti: / andare oltre la stessa mente, / solo lasciarmi pensare. / Pure il male dunque è un bene. / Bisogna che la mente scompaia: / allora avverrà l’incontro / e né tu né io saremo. / E mentre io sempre più disperavo / di afferrarti, sentivo / che eri tu ad assorbirmi: / fino ad essere insieme perduti” (Solo lasciarmi pensare).
Oggi, Signore, ci inviti ad alzare il capo e a guardarti crocifisso per amore. Fa’ che guardandoti ci lasciamo amare da Te, fa’ che guardandoTi Ti amiamo. Tu che sei Re di misericordia, ricordaTi di noi, peccatori. Non smettere di farci percepire quanto ancora ci hai amati e quanto ancora ci ami. Questo nostro povero mondo, disgregato dalla diffidenza e dall’odio, in Te solo trova ancora salvezza.
Che sempre ci attrae
Quella di Gesù, dunque, è una regalità che sostiene caparbiamente il primato di un Dio che Si concede, che Si dona, nella Sua stessa vita. “Io sono nel Padre e il Padre è in me”, ci ripeterebbe il Vangelo (Gv 14,11). Una regalità che non incute timore, che ci raccoglie e ci raduna. Una regalità che ci attrae. Come ci aveva preannunciato: “E io, quando sarò innalzato attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Scriveva Teilhard de Chardin: “Ci deve pur essere un punto di vista dal quale il Cristo e la Terra appaiono situati in tal modo, l’Uno in rapporto all’Altra, che io non potrei possedere l’Uno se non abbracciando l’Altra, comunicare con l’Uno se non fondendomi con l’Altra, essere cristiano se non essendo disperatamente umano” (Recherche, travail et adoration).
Le stesse discussioni sulla presenza del crocifisso in una scuola o nell’aula di un tribunale hanno involontariamente denunciato che la croce di Gesù è un segno che ti obbliga a prendere posizione. E intanto la gente semplice e i poveri continuano ad affidarsi alla croce di Gesù come fosse l’ultima sponda, l’ultima consolazione che resta a lenire le loro fatiche e le loro sofferenze. Simone Weil, una donna che si è fermata sulla soglia della fede cristiana senza entrarci, scriveva che Gesù crocifisso e l’umanità sono due amanti che hanno sbagliato solo il luogo dell’appuntamento: “ciascuno è lì prima dell’ora, ma sono in due posti diversi, e aspettano, aspettano, aspettano. Lui è in piedi, immobile, inchiodato per la perennità dei tempi. Lei è distratta e impaziente. Sventurata se ne ha abbastanza e se ne va!” (Cahiers).
don Walter Magni