Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 5 Novembre 2023 – don Walter Magni

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NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO  RE DELL’UNIVERSO

Anno A – Rito Ambrosiano

Ultima domenica dell’Anno Liturgico

Gv 18,33c-37 In quel tempo. 33Pilato disse al Signore Gesù: «Sei tu il re dei Giudei?».  34Gesù rispose: «Dici questo da te, oppure altri ti hanno parlato di me?». 35Pilato disse: «Sono forse  io Giudeo? La tua gente e i capi dei sacerdoti ti hanno consegnato a me. Che cosa hai fatto?».  36Rispose Gesù: «Il mio regno non è di questo mondo; se il mio regno fosse di questo mondo, i miei  servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ma il mio regno non è di  quaggiù». 37Allora Pilato gli disse: «Dunque tu sei re?». Rispose Gesù: «Tu lo dici: io sono re. Per  questo io sono nato e per questo sono venuto nel mondo: per dare testimonianza alla verità. Chiunque  è dalla verità, ascolta la mia voce». 

Fratelli, sorelle, 

l’ultima domenica dell’anno liturgico è dedicata a uno sguardo intenso e preciso nei confronti di  “Nostro Signore Gesù Cristo, re dell’universo” (5 novembre 2023). A chi vogliamo ancora guardare?  Alla retorica di una croce cristiana che talvolta si è imposta sul mondo sovrastandolo o al Vangelo di  un re umiliato sino alla morte e alla morte di croce che dal basso pazientemente lo attrae, lo converte?  

“Dunque, tu sei re?”  

Diamo qualche elemento di contesto all’episodio evangelico che racconta del dialogo tra Pilato e  Gesù, nell’imminenza della Sua condanna a morte. L’incontro avvenne a Gerusalemme, nel palazzo  del Procuratore in un venerdì di aprile dell’anno 30. Al tramonto sarebbero iniziati i grandi  festeggiamenti della Pasqua ebraica e nelle case veniva sacrificato l’agnello che poi sarebbe stato  servito per la cena solenne della sera. Nella notte precedente era stato arrestato un certo Gesù di  Nazareth che i signori del tribunale ebraico avevano condotto al procuratore romano Pilato perché Lo  processasse, giustificando anche secondo la legge romana la Sua condanna a morte. “Tu sei re?”,  domandò Pilato a Gesù, attraversato forse dal timore di un complotto popolare che Gesù avrebbe  potuto capeggiare.

Gesù rispose sicuro: “Sì, io sono re”, ma specificando subito dopo di non essere  un “re di questo mondo”. Le informazioni che Pilato aveva ricevuto contrastavano, infatti, con quanto  gli era stato riferito a riguardo di Gesù. Come poteva essere re un uomo che proveniva da Nazaret?  Dalle origini così modeste, senza titoli nobiliari da esibire. Ai suoi occhia appariva come un  visionario, che aveva scelto i poveri e i pezzenti per darSi una reputazione, anche se di Lui si diceva  che facesse cose prodigiose. Ma dove pensava di arrivare mentre gli rispondeva d’essere re: “Sì, io sono re” gli ripeté Gesù, spiazzandolo. Impiantando in lui qualche dubbio, quasi il desiderio profondo e nascosto di capire meglio chi fosse Gesù, quale mistero profondo si nascondesse il Lui. 

Un Dio crocifisso confonde 

La regalità di Gesù non ha confuso solo Pilato. Ci sta davanti confondendo anche i nostri pensieri.  Apparteniamo anche noi a un mondo, a una cultura che farà sempre fatica e continuerà a  scandalizzarsi davanti alla pretesa del nostro Dio di rivelarSi passando attraverso lo scandalo della  croce. Come già scriveva Paolo: “egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio  l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli  uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce” (Ef 2,6-8). Come canterebbe ancora D. M. Turoldo: “È noto all’universo che  tu sei la fonte del mio cantare: / la tua Assenza mi fa disperato / la Presenza mi incenerisce: / e se  voglio raggiungerti, devo / liberarmi dalla volontà di cercarti: / andare oltre la stessa mente, / solo  lasciarmi pensare. / Pure il male dunque è un bene. / Bisogna che la mente scompaia: / allora avverrà l’incontro / e né tu né io saremo. / E mentre io sempre più disperavo / di afferrarti, sentivo / che eri  tu ad assorbirmi: / fino ad essere insieme perduti” (Solo lasciarmi pensare).

Oggi, Signore, ci inviti  ad alzare il capo e a guardarti crocifisso per amore. Fa’ che guardandoti ci lasciamo amare da Te, fa’  che guardandoTi Ti amiamo. Tu che sei Re di misericordia, ricordaTi di noi, peccatori. Non smettere  di farci percepire quanto ancora ci hai amati e quanto ancora ci ami. Questo nostro povero mondo,  disgregato dalla diffidenza e dall’odio, in Te solo trova ancora salvezza.  

Che sempre ci attrae  

Quella di Gesù, dunque, è una regalità che sostiene caparbiamente il primato di un Dio che Si concede,  che Si dona, nella Sua stessa vita. “Io sono nel Padre e il Padre è in me”, ci ripeterebbe il Vangelo  (Gv 14,11). Una regalità che non incute timore, che ci raccoglie e ci raduna. Una regalità che ci attrae.  Come ci aveva preannunciato: “E io, quando sarò innalzato attirerò tutti a me” (Gv 12,32). Scriveva  Teilhard de Chardin: “Ci deve pur essere un punto di vista dal quale il Cristo e la Terra appaiono  situati in tal modo, l’Uno in rapporto all’Altra, che io non potrei possedere l’Uno se non  abbracciando l’Altra, comunicare con l’Uno se non fondendomi con l’Altra, essere cristiano se non  essendo disperatamente umano” (Recherche, travail et adoration).

Le stesse discussioni sulla  presenza del crocifisso in una scuola o nell’aula di un tribunale hanno involontariamente denunciato  che la croce di Gesù è un segno che ti obbliga a prendere posizione. E intanto la gente semplice e i  poveri continuano ad affidarsi alla croce di Gesù come fosse l’ultima sponda, l’ultima consolazione  che resta a lenire le loro fatiche e le loro sofferenze. Simone Weil, una donna che si è fermata sulla  soglia della fede cristiana senza entrarci, scriveva che Gesù crocifisso e l’umanità sono due amanti  che hanno sbagliato solo il luogo dell’appuntamento: “ciascuno è lì prima dell’ora, ma sono in due  posti diversi, e aspettano, aspettano, aspettano. Lui è in piedi, immobile, inchiodato per la perennità  dei tempi. Lei è distratta e impaziente. Sventurata se ne ha abbastanza e se ne va!” (Cahiers).

don Walter Magni