Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 6 Febbraio 2022 – don Walter Magni

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QUINTA DOMENICA DOPO L’EPIFANIA

6 febbraio 2022 – Rito Ambrosiano – Anno C

Esultate giusti nel Signore

Matteo 8,5-13, La signoria di Cristo sulla vita: la guarigione del servo del centurione. In quel tempo, entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: “Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente”. Gesù gli rispose: “Io verrò e lo curerò”. Ma il centurione riprese: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito. Perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. All’udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: “In verità vi dico, in Israele non ho trovato nessuno con una fede così grande. Ora vi dico che molti verranno dall’oriente e dall’occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli, mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti”. E Gesù disse al centurione: “Va’, e sia fatto secondo la tua fede”. In quell’istante il servo guarì”.

Fratelli, sorelle,

il Vangelo odierno (V domenica dopo l’Epifania, 6 febbraio 2022) afferma che Gesù guarisce il servo di un centurione. Come si spiega che un pagano, che non c’entra con l’ebraismo, si reca da Gesù per implorare la guarigione di un suo servo malato? Una serie di incontri della Cattedra dei non credenti voluta dal card. Martini poneva questa domanda: “in cosa crede chi non crede?”

L’arte dell’ascolto

Dunque: “entrato Gesù in Cafarnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava: ‘Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente’”. Cosa può spingere un centurione romano, appartenente a un’altra religione, a implorare da Gesù la guarigione di un servo malato e al quale forse deve essere affezionato (Lc 7,-10)? Per quanto qualcuno l’abbia informato che Gesù Si è proclamato Figlio di Dio o il Messia, che cosa può capire? A lui basta che abbia delle capacità miracolose in grado di risolvergli un problema. E Gesù, con i suoi presunti poteri, è l’ultima speranza alla quale affidarsi. E Gesù che fa? Semplicemente lo ascolta. Non sovraccarica le Sue attese.

Non S’aspetta né più né meno di quello che con grande semplicità quell’uomo Gli vuole dire. La capacità di ascolto da parte di Gesù fa più delle chiacchere di chi Gli sta intorno. Sapere che, ben oltre ogni nostro tentativo fatto da qualsiasi altra parte senza rimedio, Lui comunque ascolta, diventa semplicemente consolante. “I cristiani, soprattutto quelli impegnati, dimenticano che l’ascoltare potrebbe essere un servizio più importante del parlare. Molti cercano un orecchio disposto ad ascoltarli e non lo trovano tra i cristiani che parlano sempre, anche quando sarebbe il caso di ascoltarli. Ma chi non sa più ascoltare il fratello, prima o poi non sarà più nemmeno capace di ascoltare Dio. E anche al cospetto di Dio non farà che continuare a parlare” (D. Bonhoeffer).

Incontrarsi nell’umano

E dopo averlo ascoltato Gesù dice semplicemente: “Io verrò e lo curerò”. Non fa domande del tipo: è opportuno o no andare? Cosa capirà del vangelo che sono venuto a portare? E se mi fraintendesse? Anche questo ascolto aperto, senza porre condizioni ci potrebbe confondere non poco. Che sia un pagano, ma benefattore nei confronti della sinagoga come attesta lo stesso racconto secondo Luca a Gesù non interessa.

Lo spontaneo e semplice desiderio del centurione di incontrare Gesù e l’apertura senza pregiudizi dell’ascolto di Gesù sono il terreno per l’avvio di una introduzione alla fede per noi impensabile. In fondo il vero miracolo sta anzitutto qui: nell’incontro tra l’umanità di Gesù e l’umanità di questo centurione che non semplicemente decide di dire quel che pensa, con tanta spontaneità: “Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di’ soltanto una parola e il mio servo sarà guarito”. Davanti a Gesù sta un uomo consapevole dei propri limiti (“Io non sono degno”), ma pure capace di intuire con realismo ciò che conta nella vita: “perché anch’io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va’, ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene; e al mio servo: Fa’ questo, ed egli lo fa”. Professare senza infingimenti una umanità schietta diventa il terreno a partire dal quale Gesù stesso Si carica di stupore e diventa capace di agire di conseguenza. Come se quella relazione che s’è ormai stabilita tra Lui e il centurione diventasse la radice profonda del segno miracoloso che di lì a poco scaturirà.

Il mistero che il volto disvela

E quando l’umanità di due persone s’incontra a questo livello, subito se ne percepisce la bellezza. E il cuore si stupisce sino a commuoversi. Gesù ne resta affascinato, tanto che subito afferma: “Io vi dico che neanche in Israele ho trovato una fede così grande!”. Gesù non ha sentito pronunciare da quest’uomo la formula del Credo o parole che Lo riconoscano come il Messia veniente, il Figlio del Dio vivente. Gesù in lui vede il compiersi di un disegno divino che, quando c’è, semplicemente incanta. Come anche dice il salmo: “cos’è l’uomo perché tu lo ricordi? Il figlio dell’uomo perché te ne prenda cura? Eppure l’hai fatto solo di poco inferiore a Dio, e l’hai coronato di gloria e d’onore” (sl 8,3-5).

Per riuscire a cogliere nell’umanità di quest’uomo una fede così profonda, un rapporto con Dio che non s’è mai interrotto oltre la sua stessa appartenenza religiosa, importa avere lo sguardo divino di Gesù, che accoglie l’uomo per quello che è: così com’è, molto semplicemente. In grado di raccogliere proprio quel suo dolore, la forza di quella sua invocazione.

“Il nostro mondo, per viverci, amare, santificarci, non è dato da una neutra teoria dell’essere, non è dato dagli eventi della storia o dai fenomeni della natura, ma è dato dall’esserci di questi inauditi centri di alterità che sono i volti, i volti da guardare, da rispettare, da accarezzare” (Italo Mancini, Tornino i volti). E, mentre guardi un volto, intuire che “anche nel buio del nostro tempo lo Spirito c’è e non si è mai perso d’animo: al contrario sorride, danza, penetra, investe” (C. M. Martini).

don Walter Magni