Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 6 Novembre 2022 – don Walter Magni

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NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

Anno C – Rito Ambrosiano – 6 Novembre 2022

Ultima Domenica dell’Anno Liturgico

Lettura del Vangelo secondo Matteo 25,31-46 In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 31«Quando il  Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. 32Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa  le pecore dalle capre, 33e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. 34Allora il re dirà a  quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno  preparato per voi fin dalla creazione del mondo, 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,  ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito,  malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. 37Allora i giusti gli risponderanno:  “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo  dato da bere? 38Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo  vestito? 39Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. 40E il re  risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più  piccoli, l’avete fatto a me”. 41Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me,  maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, 42perché ho avuto fame e non  mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, 43ero straniero e non mi avete  accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. 44Anch’essi allora  risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato  o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. 45Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto  quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. 46E se ne andranno:  questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

Fratelli, sorelle,  

nei giorni che la tradizione dedica al ricordo dei defunti ci prende una domanda, attraversati dal timore  che tutto va a finire, noi compresi. Intrappolati in un limite invalicabile, avvolti in uno smarrimento  che invece la liturgia di quest’ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano (Nostro Signore Gesù  Cristo, Re dell’universo, 6 novembre 2022) si premura, nel nome di Gesù morto e risorto, di superare. 

Con Gesù risorto, oltre la nostra morte. 

Quando diciamo di credere in Gesù Cristo morto e risorto affermiamo semplicemente la radice della  nostra fede. Non ci riferiamo però a un ragionamento astratto, ma ci stiamo immergendo in una  relazione sempre più viva con la vita di Gesù, che avendo attraversato il buio della morte, partecipa,  in forza dello Spirito Santo, alla pienezza della vita del Padre Suo. Questo propriamente significa  credere nella resurrezione. E questo di fatto proclama la liturgia odierna, dedicata appunto a Nostro  Signore Gesù Cristo, Re dell’Universo. Una signoria su tutte le cose e su ogni uomo e donna di questo  mondo. Una regalità che permette a Gesù crocifisso e risorto di sovrastare l’universo. Tutto ormai sta  sotto il Suo sguardo e persino la morte non Gli sfugge più.

Non in ragione di un nostro bisogno di vita, di immortalità oltre la morte. Stando al cospetto del Signore dell’universo e in ragione del Figlio  dell’uomo che è Figlio di Dio, ci è dato molto di più: una vita che continua e trascorre oltre la morte  come relazione profonda e inscindibile con Lui per sempre. “È noto all’universo che tu sei la fonte  del mio cantare: – la tua Assenza mi fa disperato / la Presenza mi incenerisce: / e se voglio  raggiungerti, devo / liberarmi dalla volontà di cercarti: / andare oltre la stessa mente, / solo lasciarmi  pensare. / Pure il male dunque è un bene. / Bisogna che la mente scompaia: / allora avverrà l’incontro  / e né tu né io saremo. – E mentre io sempre più disperavo / di afferrarti, sentivo / che eri tu ad  assorbirmi: / fino ad essere insieme perduti” (D. M. Turoldo, Solo lasciarmi pensare). 

Un Dio che cerca amore  

E mentre “davanti a lui verranno radunati tutti i popoli” – che cosa vede Gesù, il Figlio dell’uomo?  Cosa ancora Lo commuove e Lo innamora? Lo spiraglio di qualche gesto di bontà, di pace, il sapore  della misericordia, la forza della consolazione: 35perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare,  ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, 36nudo e mi avete vestito,  malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. La buona notizia che questa  pagina di Matteo comporta è che solo l’amore resta. L’amore dato e l’amore ricevuto e accolto. Come  se Gesù definisse per sempre che il giudizio ultimo su ogni uomo altro non è che la tenuta di un  legame.

Infatti, “in verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più  piccoli, l’avete fatto a me”. Come dicesse: vi amo a tal punto che se siete malati allora è anche la  mia carne che soffre, se avete fame allora sono io che ne patisco i morsi, e se mai qualcuno vi offrisse  un aiuto, anch’io ne provo sollievo. Perché siamo fatti della stessa carne. E per ritrovarsi in questo  vortice d’amore, in questa prospettiva di beatitudine divina non è richiesta alcuna consapevolezza. “Ci deve pur essere un punto di vista dal quale il Cristo e la Terra appaiono situati in tal modo, l’Uno  in rapporto all’Altra, che io non potrei possedere l’Uno se non abbracciando l’Altra, comunicare con  l’Uno se non fondendomi con l’Altra, essere cristiano se non essendo disperatamente umano”  (Teillard de Chardin, Recherche, travail et adoration). 

Non opporsi all’amore  

E questo passo di vangelo ci parla anche di tutti coloro che si sono rifiutati d’amare. Dove si nasconde  la loro colpa mortale che li condanna a restare in una morte senza scampo? Nel non aver creduto  all’amore. Neppure si tratta di essere stati giudicati cattivi, insensibili o violenti nella propria esistenza. Neppure l’efferatezza di certe azioni sembra passibile di un giudizio irreversibile. La radice  della maledizione di maledetti, il senso ultimo di una condanna senza appello, starebbe nell’aver  respinto ed essersi sottratti ad una qualsiasi espressione d’amore e di misericordia.

Avendo di fatto  continuamente precluso al proprio cuore di accedere a un po’ di commozione, di partecipazione  sincera. Senza lasciarsi muovere dalla compassione, senza lasciarsi abitare anche solo per un attimo  da quell’amore che Gesù ci ha dimostrato regalandoci la Sua stessa esistenza. Perché, questa è il  principio di fondo: “tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto  a me”. Non basta ritenersi buoni perché non facciamo nulla di male. Anche il silenzio di chi sta solo  alla finestra può uccidere un fratello, sottraendosi all’incontro con Lui.

Il contrario dell’amore non è  per sé l’odio, ma l’indifferenza che annienta il fratello che non voglio vedere. Papa Francesco ha effettivamente previsto la possibilità di una sorta di “globalizzazione dell’indifferenza”. Riattiviamo  uno sguardo che ancora s’accorge dell’altro per quello che è, immettendolo anzitutto nello sguardo  amorevole e misericordioso di Gesù Cristo nostro Signore, Re dell’Universo.

don Walter Magni