Rito Ambrosiano – Commento al Vangelo di domenica 6 Ottobre 2024 – don Walter Magni

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VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO
DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE

Anno B – Rito Ambrosiano

Mostraci, Signore, la tua misericordia

Matteo 20,1-16 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 1«Il regno dei cieli è simile a un padrone di  casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per  un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri  che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto  ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto.  6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state  qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed  egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al  suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”.  9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i  primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel  ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora  soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il  padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato  con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a  te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono  buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».

La parabola della vigna: il padrone che chiama senza misura e agisce con amore

Fratelli, sorelle, 

la liturgia di questa domenica (VI dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore, 6 ottobre 2024) ci  riporta a un’altra parabola. Nel contesto di una piazza dove c’è chi attende che qualcuno lo chiami a  lavorare nella vigna. Al fine di imparare ad entrare nell’orizzonte dello sguardo di Dio che agisce  sempre nella logica dell’eccedenza, non del calcolo e della misura.  

“Uscì all’alba” 

Dunque, quel padrone “uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna”. E già  l’incipit intenerisce, commuove proprio quel possessivo che dice che quella vigna è “sua”.  Ripetendolo più volte lungo il racconto. Un possessivo che non dice affatto dominio, ma piuttosto  un affetto profondo, una cura, un amore sconfinato per la sua vigna. E quello è forse il tempo della  vendemmia, quando la vigna di mattino presto si adorna di un fascino tutto suo, in un turbinio di  colori tra terra e cielo e la rugiada come un manto si distende sull’erba e i tralci s’incurvano carichi  di frutto. Come se nello sguardo del padrone in quel momento non ci fosse il calcolo della fatica  come poi diranno gli operai della prima ora: “abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 

È piuttosto un momento d’incanto, in cui stupito s’arresta davanti a quei viticci carichi, gustandone  quasi il profumo. Che se poi ci si inoltra nella parabola ecco che subito nascono legami e  connessioni. Perché la vigna nella Bibbia è figura del popolo di Dio, simbolo alla fine dell’umanità  intera. E il padrone della vigna, infatti, ha proprio bisogno di operai, di continue collaborazioni,  dall’alba all’imbrunire. E a quel padrone interessa chiamare, incurante dell’ora, ma preoccupato  anzitutto di chiamare te. A lui importa chiamarti, coinvolgerti, non quante ore dovrai lavorare. E al  compimento dell’opera, a fine giornata, importa che ci sia tu. Anche se ti avesse chiamato a lavorare  per un’ora soltanto!  

Quelli della prima ora 

Ed è così dalle origini, quando Dio creò gli uomini, i terrestri, dicendo: “Siate fecondi e  moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo  e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,28). Anche se poi lungo la storia i verbi  soggiogare e dominare hanno assunto significati distorti e un loro uso improprio ha condotto a una  organizzazione del lavoro disumana che sta ormai quotidianamente sotto i nostri occhi. E lo  sappiamo ormai: una vigna manipolata dal predominio e dal possesso intristisce. Così già ci è dato  di intravedere il cuore della parabola che Gesù ci ha raccontato.

Là dove, quasi al termine, si dice  che quelli della prima ora mormoravano: “questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai  trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. E il padrone che  risponde a uno di loro: perché non ti accontenti di quanto s’era pattuito? “Oppure tu sei invidioso  perché io sono buono?”. E traducendo meglio il testo greco si potrebbe anche dire: “Oppure tu hai  un occhio malvagio, perché io sono buono?”. È una questione di occhi, infatti. Come cioè se tutto  dipendesse da come si guarda il mondo creato da Dio, da come trattiamo la sua vigna. È sconcertante, infatti, accorgersi di come proprio quelli della prima ora, dimostrino di avere un cuore  gelido, uno sguardo miope che non vuole vedere quello che il Padrone da sempre vede. Incapaci  strutturalmente di andare al di là del proprio tornaconto, oltre il proprio calcolo, oltre sé stessi.  

“Perché io sono buono” Perché il padrone della vigna non la fa da padrone. Come fosse più preoccupato di quelli dell’ultima  ora. Come sapesse che dietro un’ora di lavoro soltanto ci fossero altre vite. Benedetto sguardo di un  Dio che ci insegna a guardare più in là! E tornano alla mente due versetti del Deuteronomio di una  delicatezza estrema: “Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli  o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno  stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà  contro di te al Signore e tu non sarai in peccato” (24,14-15). E se il salariato è povero, allora ha  diritto allo stesso stipendio. Come fosse sopraggiunta una rivoluzione.

Perché se per alcuni la  scadenza della paga mensile può tenere ancora, c’è sempre qualcuno che ai primi giorni del mese  non arriva e avrà il diritto di invocare un’attenzione particolare. Non possiamo più dimenticare la  distinzione tra l’occhio possessivo di quelli della prima ora e quello del padrone che ci chiede di  saper guardare anche a quelli dell’ultima! Che se poi anche il nostro sguardo si dovesse fare più  attento, cosa mai potrebbe accadere? Non la malvagità o l’indifferenza, ma la custodia e la cura. “Se  in un’epoca come questa non si crolla per la tristezza, o non ci si indurisce e si diviene cinici, o non  si tende alla rassegnazione – e tutto questo per proteggere se stessi – allora si diventa sempre più  teneri e dolci, e sciolti, comprensivi e affettuosi” (Etty Hillesum a Julius Spier, luglio 1942).

don Walter Magni