VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO
DI SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno B – Rito Ambrosiano
Mostraci, Signore, la tua misericordia
Matteo 20,1-16 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 1«Il regno dei cieli è simile a un padrone di casa che uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna. 2Si accordò con loro per un denaro al giorno e li mandò nella sua vigna. 3Uscito poi verso le nove del mattino, ne vide altri che stavano in piazza, disoccupati, 4e disse loro: “Andate anche voi nella vigna; quello che è giusto ve lo darò”. 5Ed essi andarono. Uscì di nuovo verso mezzogiorno, e verso le tre, e fece altrettanto. 6Uscito ancora verso le cinque, ne vide altri che se ne stavano lì e disse loro: “Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?”. 7Gli risposero: “Perché nessuno ci ha presi a giornata”. Ed egli disse loro: “Andate anche voi nella vigna”. 8Quando fu sera, il padrone della vigna disse al suo fattore: “Chiama i lavoratori e da’ loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi”. 9Venuti quelli delle cinque del pomeriggio, ricevettero ciascuno un denaro. 10Quando arrivarono i primi, pensarono che avrebbero ricevuto di più. Ma anch’essi ricevettero ciascuno un denaro. 11Nel ritirarlo, però, mormoravano contro il padrone 12dicendo: “Questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. 13Ma il padrone, rispondendo a uno di loro, disse: “Amico, io non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? 14Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: 15non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. 16Così gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi».
La parabola della vigna: il padrone che chiama senza misura e agisce con amore
Fratelli, sorelle,
la liturgia di questa domenica (VI dopo il Martirio di San Giovanni il Precursore, 6 ottobre 2024) ci riporta a un’altra parabola. Nel contesto di una piazza dove c’è chi attende che qualcuno lo chiami a lavorare nella vigna. Al fine di imparare ad entrare nell’orizzonte dello sguardo di Dio che agisce sempre nella logica dell’eccedenza, non del calcolo e della misura.
“Uscì all’alba”
Dunque, quel padrone “uscì all’alba per prendere a giornata lavoratori per la sua vigna”. E già l’incipit intenerisce, commuove proprio quel possessivo che dice che quella vigna è “sua”. Ripetendolo più volte lungo il racconto. Un possessivo che non dice affatto dominio, ma piuttosto un affetto profondo, una cura, un amore sconfinato per la sua vigna. E quello è forse il tempo della vendemmia, quando la vigna di mattino presto si adorna di un fascino tutto suo, in un turbinio di colori tra terra e cielo e la rugiada come un manto si distende sull’erba e i tralci s’incurvano carichi di frutto. Come se nello sguardo del padrone in quel momento non ci fosse il calcolo della fatica come poi diranno gli operai della prima ora: “abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”.
È piuttosto un momento d’incanto, in cui stupito s’arresta davanti a quei viticci carichi, gustandone quasi il profumo. Che se poi ci si inoltra nella parabola ecco che subito nascono legami e connessioni. Perché la vigna nella Bibbia è figura del popolo di Dio, simbolo alla fine dell’umanità intera. E il padrone della vigna, infatti, ha proprio bisogno di operai, di continue collaborazioni, dall’alba all’imbrunire. E a quel padrone interessa chiamare, incurante dell’ora, ma preoccupato anzitutto di chiamare te. A lui importa chiamarti, coinvolgerti, non quante ore dovrai lavorare. E al compimento dell’opera, a fine giornata, importa che ci sia tu. Anche se ti avesse chiamato a lavorare per un’ora soltanto!
Quelli della prima ora
Ed è così dalle origini, quando Dio creò gli uomini, i terrestri, dicendo: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela, dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra” (Gen 1,28). Anche se poi lungo la storia i verbi soggiogare e dominare hanno assunto significati distorti e un loro uso improprio ha condotto a una organizzazione del lavoro disumana che sta ormai quotidianamente sotto i nostri occhi. E lo sappiamo ormai: una vigna manipolata dal predominio e dal possesso intristisce. Così già ci è dato di intravedere il cuore della parabola che Gesù ci ha raccontato.
Là dove, quasi al termine, si dice che quelli della prima ora mormoravano: “questi ultimi hanno lavorato un’ora soltanto e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo”. E il padrone che risponde a uno di loro: perché non ti accontenti di quanto s’era pattuito? “Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. E traducendo meglio il testo greco si potrebbe anche dire: “Oppure tu hai un occhio malvagio, perché io sono buono?”. È una questione di occhi, infatti. Come cioè se tutto dipendesse da come si guarda il mondo creato da Dio, da come trattiamo la sua vigna. È sconcertante, infatti, accorgersi di come proprio quelli della prima ora, dimostrino di avere un cuore gelido, uno sguardo miope che non vuole vedere quello che il Padrone da sempre vede. Incapaci strutturalmente di andare al di là del proprio tornaconto, oltre il proprio calcolo, oltre sé stessi.
“Perché io sono buono” Perché il padrone della vigna non la fa da padrone. Come fosse più preoccupato di quelli dell’ultima ora. Come sapesse che dietro un’ora di lavoro soltanto ci fossero altre vite. Benedetto sguardo di un Dio che ci insegna a guardare più in là! E tornano alla mente due versetti del Deuteronomio di una delicatezza estrema: “Non defrauderai il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nella tua terra, nelle tue città. Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e a quello aspira. Così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato” (24,14-15). E se il salariato è povero, allora ha diritto allo stesso stipendio. Come fosse sopraggiunta una rivoluzione.
Perché se per alcuni la scadenza della paga mensile può tenere ancora, c’è sempre qualcuno che ai primi giorni del mese non arriva e avrà il diritto di invocare un’attenzione particolare. Non possiamo più dimenticare la distinzione tra l’occhio possessivo di quelli della prima ora e quello del padrone che ci chiede di saper guardare anche a quelli dell’ultima! Che se poi anche il nostro sguardo si dovesse fare più attento, cosa mai potrebbe accadere? Non la malvagità o l’indifferenza, ma la custodia e la cura. “Se in un’epoca come questa non si crolla per la tristezza, o non ci si indurisce e si diviene cinici, o non si tende alla rassegnazione – e tutto questo per proteggere se stessi – allora si diventa sempre più teneri e dolci, e sciolti, comprensivi e affettuosi” (Etty Hillesum a Julius Spier, luglio 1942).
don Walter Magni