QUARTA DOMENICA DI AVVENTO
8 Dicembre 2024 Anno B – Rito Ambrosiano
L’ingresso del Messia
Luca 19,28-38 – In quel tempo. 28Il Signore Gesù camminava davanti a tutti salendo verso Gerusalemme. 29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli 30dicendo: «Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale non è mai salito nessuno. Slegatelo e conducetelo qui. 31E se qualcuno vi domanda: “Perché lo slegate?”, risponderete così: “Il Signore ne ha bisogno”». 32Gli inviati andarono e trovarono come aveva loro detto. 33Mentre slegavano il puledro, i proprietari dissero loro: «Perché slegate il puledro?». 34Essi risposero: «Il Signore ne ha bisogno». 35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù. 36Mentre egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada. 37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto, 38dicendo: «Benedetto colui che viene, il re, nel nome del Signore. Pace in cielo e gloria nel più alto dei cieli!».
Fratelli, sorelle,
tempo di Avvento: in stato di attesa della Sua venuta. Qualche domanda: come anche oggi Gesù viene? E come ancora farà ritorno in questo nostro mondo per dare compimento a quel Suo smisurato desiderio di salvezza e di amore? Per immaginare anche questo, la liturgia ci regala oggi l’icona dell’ingresso festoso di Gesù in Gerusalemme (IV domenica di Avvento, 8 dicembre 2024).
La festa dei piccoli
E Luca ci racconta della preparazione della festa molto prima dell’arrivo di Gesù alle porte della Città santa. Da quando, salendo da Gerico, era giunto nei pressi di Betfage e Betania e da lì Gesù aveva mandato due discepoli a recuperare un puledro d’asina, come scrive Luca: “Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, pieni di gioia, cominciò a lodare Dio a gran voce per tutti i prodigi che avevano veduto.”
Nulla di trionfale: non c’era gente, ma solo il gruppo gioioso dei discepoli. Ch’erano diventati pochi, stando ad esempio a Giovanni 6, che ci racconta che molti se n’erano andati perché il Suo parlare era troppo esigente, difficile da sostenere. E quelli ch’erano rimasti non dovevano essere neppure i più colti e i più preparati. Facevano ormai parte di quel “piccolo gregge” al quale Gesù stava rivelando il Suo Regno (Lc 12,32).
Soprattutto, per quanto quella fosse una festa discreta, essi rappresentavano come prezioso germoglio del desiderio di Dio di far festa con noi. Così potremmo immaginare che anche Gesù sorridesse compiaciuto vedendo come si davano da fare: i mantelli gettati sul puledro e distesi per terra e i rami di palma agitati al Suo passaggio, mentre cantando lodavano “Dio a gran voce”.
S. Giovanni XXIII, che in occasione della sua intronizzazione papale era dovuto salire sulla sedia gestatoria, a chi gli chiedeva cosa provasse stando così in alto in bella mostra rispose che stava molto meglio quando da piccolo suo padre lo portava sulle spalle dentro la gerla, di ritorno dai campi.
“Il Signore ne ha bisogno”
E colpisce che Gesù scelga un puledro d’asina per iniziare la festa, perché “ne ha bisogno”. Se il cavallo era la nobile cavalcatura di un re guerriero, alcuni profeti scelgono però un asino, cavalcatura dei re in tempi di pace, per preannunciare la venuta di un re Messia, umile e mite.
Un asino del quale anche noi, oggi, avremmo un serio bisogno. Perché solo con umiltà e mitezza oggi ti è possibile entrare in certe case dove si soffre e si fatica, in alcune comunità ecclesiali un po’ disorientate; ma anche in certi agoni politici arroganti e in aziende in crisi.
Non per cavalcare la paura, ma solo per dare corpo con pazienza ai segni di una giustizia sostenibile, di una pace possibile. La gente ha sempre più bisogno di ascolto, di piccoli gesti d’amore. E ce li dobbiamo, reciprocamente, a costo d’essere tacciati da ignoranti e ingenui ostinati!
E mentre portiamo Gesù sulle spalle, come l’asino del Vangelo, Lui ci sussurrerà all’orecchio quanto aveva osato dire benedicendo i bambini: “Imparate da me che sono mite e umile di cuore” (Mt 11,29).
In Tiro avanti come un asino – un libro scritto dal card. Etchegaray, vescovo francese del secolo scorso – trovo scritto: “Sono io che lo porto, ma è lui che mi guida. So che mi conduce verso il suo regno, dove mi riposerò per sempre in verdi pascoli. Tiro avanti a piccoli passi. Per sentieri scoscesi, lontano dalle autostrade dove la velocità ci impedisce di riconoscere cavalcatura e cavaliere. Quando inciampo in un sasso, il mio Padrone viene certamente sballottato, ma non mi rimprovera mai di niente.”
Tanto è paziente con me Gesù, mio Signore!
La pazienza e il germoglio
E una parola, quasi uno stile, che potremmo esercitare in questo Avvento, guardando all’asino che Gesù aveva voluto per la Sua festa, è la virtù della pazienza. Anche Isaia, stando a questa liturgia, immaginava la ricostituzione del popolo d’Israele come l’apparire di un piccolo germoglio: “In quel giorno, il germoglio del Signore crescerà in onore e gloria”.
E lo sappiamo: non c’è germoglio che non chieda pazienza, altrimenti non cresce! E soprattutto certe impazienze potrebbero persino arrestare il suo divenire lento e incerto.
Perché poi la vita, la vita di tutti, è un continuo germogliare che non sarà mai un fiore pieno. Come dovessimo saper pazientare con tutti, se non altro perché la prima pazienza la dobbiamo a noi stessi. Pazienza che sa aspettare che l’albero cresca e non si stanca di curare, di accompagnare, sorreggendo.
Senza schiacciare mai la fede di chi è piccolo e fragile e che spesso ignora i nostri percorsi e certe procedure. E non impone una legge inattuabile e non pretende l’osservanza rigorosa dei precetti.
Osa piuttosto prendere per mano chi le sta accanto, senza stancarsi di ascoltare e riascoltare ciò che ha già sentito mille volte.
In questo Avvento cerchiamo tutti di guardare avanti come l’asinello di Gesù, anche facendo piccoli passi, verso il Signore che ci viene incontro.
“Se invece di voltarci indietro, guardassimo avanti, se invece di guardare le cose che si vedono, avessimo l’occhio attento a quelle che non si vedono ancora, se avessimo cuori in attesa, più che cuori in rimpianto, nessuno ci toglierà più la nostra gioia” (Primo Mazzolari).
don Walter Magni