VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI
SAN GIOVANNI IL PRECURSORE
Anno C – Rito Ambrosiano – 9 Ottobre 2022
Chi spera nel Signore, non resta deluso
Matteo 10, 40-42 Chi accoglie voi accoglie me – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 40«Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. 41Chi accoglie un profeta perché è un profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto perché è un giusto, avrà la ricompensa del giusto. 42Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa»
Fratelli, sorelle,
l’Epistola si sofferma oggi (VI domenica dopo il Martirio di san Giovanni il Precursore, 9 ottobre 2022) sul tema dell’ospitalità, rievocando l’immagine di Abramo che aveva ospitato tre uomini misteriosi (Gn 18,1-8). Per questo l’invito dell’autore della Lettera agli Ebrei diventa molto chiaro: “non dimenticate l’ospitalità: alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli”.
Chi è l’ospite?
Chi è l’ospite? Colui che dà ospitalità o chi viene ospitato? Questa sorta di ambiguità linguistica avvia una lettura efficace e interessante proprio da un punto di vista evangelico. Sappiamo che il termine ospite deriva dal latino hospes, che già prevedeva un duplice significato identificando l’ospite sia nell’albergatore che ospita come nel forestiero che viene ospitato. E ancora questo duplice significato è presente anche nel termine greco xénos (ospite), paradossalmente sopravvissuto anche in altre lingue parlate ancora oggi: il francese (hôte), il catalano (oste), lo spagnolo (huésped) e il portoghese (hóspede).
Immaginiamo, dunque, queste due figure, l’albergatore e il forestiero, accomunati da una stessa parola, che si guardano, stando magari sulla soglia di una casa, di un albergo o sulla riva del mare, mentre un barcone avanza. Cosa potrebbe avvenire tra queste due figure che si fronteggiano? Appunto: chi è questo ospite che ad un tempo accoglie ed è accolto? Chi è in grado di aprire la porta della propria casa o chi ha il diritto di poterci entrare? Riandando agli antichi potremmo persino rivalutare quell’alleanza ospitale, spesso guadagnata con forza, dopo dure e cruente lotte per la conquista di un territorio, ma che alla fine poteva concludersi con un vero e proprio patto di alleanza.
Una ospitalità reale fatta di collaborazione, solidarietà e amicizia. Al punto che proprio questa ospitalità finiva per essere profondamente sacra, inviolabile. Come se chi ospitava e chi era ospitato compisse in quel momento un’azione propriamente spirituale, quasi attingesse al cuore stesso di Dio.
Ospitalità evangelica
Come del resto dicevano i Greci: “l’ospite che bussa alla nostra porta potrebbe essere Zeus, sotto mentite spoglie”. E proprio questa profonda radice spirituale e sacra dell’ospitalità ancora si nasconde nelle pieghe dei nostri linguaggi odierni. E proprio questa andrebbe ricercata e riscoperta come un bene inestimabile. Ed è infatti guardando a Gesù che ci è dato di rinvenire fatti di ospitalità evangelica che ancora ci potrebbero affascinare e incoraggiare per questa strada. E c’è chi ha accolto Gesù con grande gioia nella sua casa e chi invece Lo ha rifiutato.
Anzi, Gesù giunge persino a coniare una vera e propria beatitudine dell’ospitalità, che non dà scampo e non permette facili scappatoie a nessuno: “ero straniero e mi avete ospitato” (Mt 25,35). E il pensiero corre alle tante persone: emigranti, profughi e rifugiati – spesso non è così facile fare delle distinzioni nette – che ancora ai nostri giorni in massa scappano dai loro paesi di origine, bussando alle nostre porte. E noi lo sappiamo che fuggono per tanti motivi e su questo loro fuggire non è facile sentenziare con ragionamenti sofisticati.
Così, nel migliore dei casi, non sapendo come affrontare la situazione, rinviamo il problema alle grandi organizzazioni sociali deputate ad accogliere e smistare. Resta pur vero che un singolo cittadino non sarà mai in grado di fronteggiare certe situazioni, ma il solo rinvio sbrigativo alla Caritas parrocchiale non basta. Spesso dichiarando certe analisi sommarie e affrettate finiamo per generare scandalo e sconcerto, dimenticando comunque la forte provocazione del Vangelo.
Stare davanti al mistero dell’altro
Un midrash della tradizione rabbinica racconta che quando Mosè pascolava il gregge di Ithro nel deserto, un capretto s’era allontanato. Mosè allora lo rincorse sin sotto una roccia, mentre il capretto s’era fermato davanti a una cisterna per bere. Quando Mosè gli fu vicino, disse: ‘io non sapevo che tu correvi per la sete! Sei così stanco?’ Così se lo mise sulle spalle e continuò a camminare.
Che sia per il fatto che aveva saputo riconoscere la sete di quel capretto che il Signore decise di mettere Mosè a capo del suo popolo? Aveva saputo riconoscere la sete di un capretto, forse la ragione vera per la quale s’era allontanato dal suo gregge? È arrivato il momento di esprimere un sussulto di Vangelo. Imparando a stare davanti a chi osa farti una domanda, guardandolo in faccia. Accogliendo la verità evidente della sua presenza, inquietante, destabilizzante.
Capace di rompere i tuoi schemi di difesa e le tue categorie di appartenenza. Imparare a stare davanti al suo mistero, alla grandezza incalcolabile della sua alterità. Evitando di costruire ragionamenti di cartapesta che non sortiscono alcun vantaggio, che ripetuti poi con insistenza a slogan non sono altro che un insulto all’intelligenza. Papa Francesco spesso ricorda con insistenza ai cristiani come si fa davvero l’elemosina: guardando in faccia il povero, toccandolo, riconoscendone l’umanità.
Stabilendo un contatto reale, dimostrandogli un affetto sincero, un po’ di calore. J. Danielou, un teologo del secolo scorso, ha scritto che “la civiltà ha fatto un passo decisivo il giorno in cui lo straniero, da nemico (hostis), è divenuto ospite (hospes)”.
don Walter Magni