Lettura del Vangelo secondo Giovanni 6,51-59 – In quel tempo. Il Signore Gesù disse: 51«Io sono il pane vivo, disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo». 52Allora i Giudei si misero a discutere aspramente fra loro: «Come può costui darci la sua carne da mangiare?». 53Gesù disse loro: «In verità, in verità io vi dico: se non mangiate la carne del Figlio dell’uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. 54Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell’ultimo giorno. 55Perché la mia carne è vero cibo e il mio sangue vera bevanda. 56Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui. 57Come il Padre, che ha la vita, ha mandato me e io vivo per il Padre, così anche colui che mangia me vivrà per me. 58Questo è il pane disceso dal cielo; non è come quello che mangiarono i padri e morirono. Chi mangia questo pane vivrà in eterno».59Gesù disse queste cose, insegnando nella sinagoga a Cafàrnao.
Fratelli, sorelle
Gesù ha inventato l’Eucaristia e ce ne parla a modo Suo, identificandoSi con un pane che genera vita nuova, un pane che è “disceso dal cielo”. Espressioni che forse riteniamo di comprendere, ma non è scontato. Stiamo attenti, infatti, ai possibili fraintendimenti e a certi pregiudizi ci ripete la Parola di questa domenica (IV dopo il Martirio di s. Giovanni il precursore, 25 settembre 2022).
Il libro dei Proverbi ci ricorda che “la sapienza si è costruita la sua casa, ha intagliato le sue sette colonne. Ha ucciso il suo bestiame, ha preparato il suo vino e ha imbandito la sua tavola”. È la sapienza stessa di Dio, la sapienza che è Dio, che si costruisce una casa dove agli invitati viene chiesto di bere alla “sua tavola” e di bere “il suo vino”. Con un invito molto diretto a stare dalla sua parte: “abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”. Un invito che potremmo applicare all’eucaristia, l’unico e grande segno che Gesù stesso ci ha chiesto di ripetere in Sua memoria. Con quale sapienza Gesù ha istituito l’Eucaristia? Quale intelligenza è richiesta ancora oggi ai cristiani nei suoi confronti? Apparteniamo a un’epoca nella quale tanti linguaggi si trasformano e molti segni chiedono d’essere ridetti in modo comprensibile e accattivante. E l’Eucaristia è il gesto più alto che Gesù ci ha chiesto di continuare nel Suo nome: “Fate questo in memoria di me” (Lc 22,19). Quel segno grande descritto dal gesto semplice e abituale di lasciare il proprio posto in chiesa, mettendoci in fila per fare la comunione. Un gesto che per molti si ripete abitualmente, spesso in modo meccanico e scontato, senza pretendere di mettere in capo in quel momento chissà quale sapienza. Non stupisce pertanto che i Suoi discepoli, dopo aver sentito Gesù spiegare l’Eucaristia comincino a defilarsi, giustificandosi con queste parole: “questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?” (6,62).
Lo stesso Paolo, nell’epistola odierna registra qualche fatica da parte della comunità di Corinto a comprendere l’Eucaristia. Evidenziando addirittura il rischio di una sorta di travisamento idolatrico del gesto eucaristico: “state lontani dall’idolatria. Parlo come a persone intelligenti”. Per questo, dunque, invita i cristiani di Corinto, a un atto di maggiore consapevolezza, a una presa di coscienza, dicendo loro: “giudicate voi stessi quello che dico: il calice della benedizione che noi benediciamo, non è forse comunione con il sangue di Cristo? E il pane che noi spezziamo, non è forse comunione con il corpo di Cristo?”. Il punto sul quale siamo invitati anche noi a fissare l’attenzione è propriamente l’atto concreto con il quale facciamo la comunione che come tale ci riporta a esprimere un rapporto, una relazione con Gesù in termini pieni. Non rendersi conto del fatto che, facendo la comunione, si entra in una intimità e profondità del mistero divino che in Gesù si racchiude comporta una sorta di svilimento di quel gesto ad un atto di idolatria, di semplificazione e riduzione del mistero di Dio ai nostri bisogni e ai nostri schemi religiosi devozionali. Proprio perché entrare in intimità di rapporto con Lui comporta avere consuetudine con il Suo Cuore, i Suoi desideri più profondi, i Suoi sentimenti, i Suoi ideali più grandi. Mi commuove il pensiero che i monaci di Cluny, intorno all’anno Mille, quando si accostavano alla comunione, si toglievano le calzature. Come Mosè al cospetto del roveto ardente. Dovremmo tornare a coltivare più rispetto e venerazione per l’eucaristia.
Il rischio della banalizzazione dell’Eucaristia è in agguato, ridotta ormai a un gesto di appartenenza e di devozione. Qualcosa che appartiene al passato. Un reperto archeologico che ci riporta a un tempo nel quale il culto eucaristico sembrava esagerato e persino retorico. Forse i bambini, ma anche tanti giovani, potrebbero ripetere – vedendo i nonni fare la comunione in occasione della Messa – lo stesso interrogativo che gli Ebrei avevano pronunciato, vedendo la manna nel deserto: man hu? Che cos’è?
E questa stessa domanda ce la portiamo dentro tutti. Quante volte ci siamo chiesti: perché faccio la comunione? Mi rendo conto di cosa sto facendo? E poi: cos’è veramente l’Eucaristia? Abbiamo tutti bisogno di tornare a ricomprendere l’Eucaristia. Al punto che dovremmo ristabilire un nuovo equilibrio tra l’esigenza di una purificazione previa nei confronti dell’Eucaristia con il sacramento della Confessione, pure questo molto disertato oggi, e un profondo e reale collegamento tra Eucaristia e remissione dei peccati. Come dice S. Ambrogio: “Io che pecco sempre, devo sempre disporre della medicina. […] Chi ha una ferita, cerca la medicina. La [nostra] ferita è l’essere soggetti al peccato, la medicina è il celeste e venerabile sacramento” (De sacramentis, V,25); “quanto è più ragionevole ricevere la comunione ogni domenica, come rimedio ai nostri mali, umili di cuore, credendo e confessando di non meritare questa grazia; invece di gonfiarci di questa vana persuasione che diventeremo tra un anno degni di riceverla” (S. Giovanni Cassiano, Conf. 23,21).
don Walter Magni
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